lunedì 12 aprile 2010

Equita`, sportivita`, prosperita`...ovvero il calcio come parabola e l'economia

Tranquilli, non intendo parlare di calcio, di Roma e Inter, di moggiopoli, gallianopoli o morattopoli o di 4-4-2, ma usare il calcio come apologo (parabola, direbbe Lui, non nel senso dell’antenna). Per la prima volta da anni, ci sono tre squadre in quattro punti a cinque giornate dalla fine, lo sappiamo. L’effetto è ovvio. L’Olimpico di Roma era stracolmo per una partita contro l’umile Atalanta che in altri tempi avrebbe avuto interesse soltanto per le anime morte del tifo a ogni costo. Se questa incertezza dovesse durare fino alla fine, vedremo stadi pieni per incontri altrimenti irrilevanti di fine stagione, come negli anni scorsi, e sicuramente stanno aumentando e aumenteranno gli utenti delle “pay per marchetta” televisive. Morale: basta un poco di equilibrio e un nuovo senso di incertezza sui risultati per stuzzicare l’interesse e aumentare la redditività complessiva del prodotto calcio, che era alla canna del gas, giocato in stadi deserti. Pensate a che accadrebbe se ci fossero oggi cinque o sei squadre compresse in pochi punti e con la possibilità di vincere il triangolino “cache sex” tricolore. L’equità, e la migliore distribuzione della torta fra i partecipanti al gioco, sia esso uno stupidissimo biliardo con i piedi, o sia esso il gioco della vita nazionale, è meglio per tutti, per i grossi e per i meno grossi, per i “grandi” come per i “piccoli”, che beneficiano dell’interesse indiretto. Permettere invece, come ha fatto lo stolto e corrotto mondo del pallone, che la ricchezza fluisca sempre e soltanto verso l’alto, o, come stanno facendo le cosiddette società liberali, dove il fossato fra chi ha e chi non ha si allarga ogni giorno nella illusione che il “mercato” si autoregoli – cosa che non accade mai, se non nelle teorie o dopo colossali trasfusioni di soldi pubblici, dunque dei contributi versati da chi meno ha – sarebbe più utile e profittevole per tutti. L’equità sociale, con governi che intervengano a limitare l’effetto giungla, dove a chi più ha più sarà dato e a chi meno ha più sarà tolto come sta accadendo in Italia, non è soltanto questione di giustizia, ma di utilità e di interesse, i soli veri motivatori efficaci dei comportamenti umani. La teoria reaganiana della ricchezza che sgocciola naturalmente dall’alto verso il basso quando deborda dalla tazza, non funziona. Chi ha, se li tiene. Chi non ha, non può permettersi di giocare quella partita del consumo che è ciò che rende ricchi i ricchi. Come ben sapeva Henry Ford, un’economia industriale di massa non funziona se l’operaio che fabbrica un’auto non guadagna abbastanza per comperarsela. E’ la sensazione che tutti possano concorrere alla vittoria che sorregge il mito del calcio e della democrazia.


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