venerdì 29 agosto 2008

Perché è morto il capitano Cook?

La figura del Capitano Cook è una di quelle più circondate da un alone da leggenda. Collocato in un'epoca posteriore a quella definita delle grandi scoperte (quella di colombo, Diaz, Magellano per intenderci), questo inglese tutto di un pezzo fu comunque uno dei più grandi esploratori che il nostro mondo conobbe. Fece tre viaggi nell'Oceano Pacifico durante i quali scoprì varie isole mappandone le coste. Il primo viaggio fu effettuato dal 1768 al 1771; in questo primo viaggio, effettuato per osservare il transito di Venere accanto al sole, portato dalla ricerca del mitico continente terra australis, arrivò fino in Nuova Zelanda e in Australia. Questo primo viaggio fu contraddistinto dalla morte di maggior parte del suo equipaggio a causa di epidemie di scorbuto e di malaria contratte nel viaggio. Il secondo viaggio, che aveva lo scopo specifico di scoprire il continente terra australis, arrivò nella terra del fuoco e da li scoprì poi la Nuova Georgia, Tonga e l'isola di Pasqua. Più importante è il terzo viaggio, soprattutto per la sua drammatica conclusione. Il Capitano Cook infatti, dopo che nel 1778 divenne il primo europeo a visitare le isole, che lui denominò Sandwich, vi morì il 14 febbraio 1779. Il 14 febbraio presso la baia di Kealakekua alcuni indigeni rubarono una delle scialuppe. Questo genere di furti era abbastanza normale e solitamente alcuni indigeni venivano presi in ostaggio per ottenere la restituzione del maltolto. Cook, in preda all'irrazionalità, ebbe un violento alterco con un folto gruppo di locali, nella disputa furono esplosi alcuni colpi d'arma da fuoco e Cook venne accoltellato a morte. Questo almeno è quanto raccontano le storiografie occidentali. Un altro punto di vista è quello presentato da Marshal Sahlins, un autorevole antropologo Statunitense. Nel suo libro “Isole di Storia” l'autore propone una interessante rivisitazione di questo evento storico. Cook arrivò per caso sulla spiaggia nella Hawaii proprio nel corso di una grande cerimonia chiamata Makahiki che celebrava l'annuale rinascita della natura, del Dio Lono, simbolizzato da una gigantesca pella di tapa e da una immagine di uccello portata in parata in senso orario attorno all'isola per un mese. Gli hawaiani dividevano l'anno lunare in due periodi. Uno era il tempo di Makahiki, quando la pace, i sacerdoti indigeni di Kuali'l e il dio della fertilità, Lono, regolavano la vita e il re era inattivo. Durante il resto dell'anno, dopo che Lono, voltata la sua immagine di uccello, se n'era di nuovo andato, veniva un tempo di guerra in cui i sacerdoti immigrati Nahulu e il dio della virilità , Ku, erano dominanti ed il re era attivo. Cook, che arrivò dalla giusta direzione e nel modo giusto, fu considerato dagli hawaiani, o almeno dai vari sacerdoti coinvolti, come fosse Lono in carne ed ossa, e fu consacrato come tale per mezzo dei più elaborati riti nel grande tempio dell'isola. Poi, per sue proprie ragioni, ma di nuovo in accordo accidantale con il calendario che governava il Makahiki, egli partì per dove era venuto. Poco dopo essere salpato, tuttavia, la rottura di un albero lo costrinse a ritornare sulla spiaggia per le riparazioni. Questo movimento al di fuori dello schema fu interpretato dagli hawaiani come un disordine cosmologico, un disordine che faceva presagire, se gli fosse stato permesso di progredire, un sovvertimento sociale e politico. Questo portò piuttosto rapidamente alla miserevole fine di Cook, che fu pugnalato e bastonato a morte in mezzo a centinaia di hawaiani inferociti dopo essere arrivato furioso a riva, sparando all'impazzata qua e la con la sua pistola. Consacrato come un dio poiché arrivato nel momento giusto e nel modo giusto, egli fu ucciso come un dio, ossia sacrificato per mantenere intatta e non rovesciata la struttura, perché ritornò alle Hawaii nel modo sbagliato e nel momento sbagliato. Una interessante rilettura in chiave culturale di un episodio storico. Un nuovo modo di leggere la storia dal punto di vista dei nativi e non da quello dei colonizzatori. Un buon metodo per saper leggere e rileggere fatti accaduti nel passato e che hanno da sempre stimolato la fantasia e la curiosità di tutti noi. Marco L..

La cultura del diverso

Il primo maggio (2008) oltre che dalle storiche manifestazioni in piazza San Giovanni a Roma e da quelle più moderne di Beppe Grillo a Torino, siamo stati colpiti anche da un'altra tragica notizia. Un giovane di 29 anni è stato massacrato da un gruppo di ragazzi, pare per essersi rifiutato di offrire una sigaretta. Dopo le richieste della madre del ragazzo e soprattutto dopo che la digos aveva cominciato a stringere il cerchio dei possibili autori dell'increscioso fatto un ragazzo si è spontaneamente presentato dai carabinieri per autodenunciarsi. Il ragazzo di 19 anni interrogato dal magistrato Francesco Rombaldoni, titolare dell'inchiesta, ha reso "piena confessione". E' un ultrà neofascista già responsabile di aggressioni a sfondo razzista e violenze negli stadi. L'avvocato del diciannovenne parla di una lite degenerata e sostiene che il suo assistito, che frequenta il liceo classico, non intendeva uccidere. Il legale aggiunge anche che il padre e la madre del giovane "sono distrutti da una situazione spaventosa". Intanto le condizioni del giovane in ospedale non danno segni di miglioramento. Intanto la caccia agli altri quattro aggressori continua. Due di loro sono stati individuati dalla polizia ma sono già fuggiti all'estero dove sono ricercati. I giovani, tutti di buona famiglia, gravitavano intorno a gruppi di estrema destra. Si è fatto il nome anche di Forza Nuova, una delle più influenti associazioni legate all'estrema destra, ma il rappresentante si dissocia in pieno dalla violenza "I nostri militanti non compirebbero mai un atto di così grave stupidità e cattiveria; se poi il ragazzo frequenta ambienti ultras o piazze dove si ritrovano neofascisti, questo è un altro discorso, non collegabile a Forza Nuova". Anche il "Veneto Fronte Skinheads" nega di essere coinvolto. "Il ragazzo - afferma il presidente Giordano Caracino - dalle informazioni che abbiamo, non fa parte del Fvs, non lo conosciamo. Non basta avere i capelli corti, un bomber o avere certe idee per far parte del nostro movimento". Tutti prendono le distanze da questo agghiacciante violenza. E mentre a destra si prendono le distanze a sinistra si comincia ad accusare, il segretario del Partito Democratico Walter Veltroni, si è espresso dicendo che "siamo davanti ad una aggressione di tipo neofascista che non può e non deve essere sottovalutata. Esistono tante bande di questo tipo e ciò è tanto più pericoloso in un clima culturale e politico nel quale si vanno affermando principi di intolleranza e di odio verso i più deboli o addirittura una sottocultura di violenza e prepotenza talvolta persino mascherata sotto il falso concetto del farsi giustizia da soli". E qui sta a mio avviso il punto. La domanda che dobbiamo porci è questa: quanto questo clima di divisione accentuato dalla recente campagna elettorale, quanto affermazioni di politici nostrani che si dicono pronti a radunare eserciti di gente armata, o di sindaci che il giorno stesso della loro elezione annunciano la cacciata degli stranieri dal suolo comunale, quanto queste affermazioni fomentano un clima di odio e di tensione? Certamente questo fatto va visto in luce del disagio giovanile e sociale di questo periodo, ma sui carboni di questa situazione già in se poco stabile si sta soffiando da molte parti per accendere, inconsciamente mi auguro, le braci della violenza, della divisione. Per propagare una mentalità che mi costringa a vedere l'altro come il diverso ed il diverso da me come il male assoluto. La gang che ha massacrato il ragazzo non era sconosciuta alle forze dell'ordine e si compone di circa 17 persone di età compresa tra i 17 e i 25 anni, insospettabili figli di professionisti e irreprensibili operai. Per il procuratore di Verona Guido Papalia, "fanno parte di un'area nuova dell'estrema destra che si è aggregata spontaneamente". "Non sono militanti effettivi di gruppi neonazisti organizzati - aggiunge - anche se praticano le stesse ideologie, li abbiamo trovati con gli stessi simboli nazisti". Ma da dove nasce questa spontaneità se non da questo senso di estraniamento da un contesto culturale più che sociale? Sarebbe il caso che i nostri politici e chi detiene il controllo dei mass media riflettesse su queste cose. Parlare non costa nulla e parlare per televisione rilasciando interviste da nessuna parte come in Italia non comporta alcun rischio. Forse nessun rischio personale per il politico che parla, ma si rischia di sfasciare del tutto un tessuto sociale già di per se troppo traballante. A questo punto verrebbe da dire, chi rompe non paga, ma i cocci sono comunque anche suoi. Marco L.