martedì 15 novembre 2011

Un muro di foglio e incenso

Si tratta di Un muro di foglio e incenso, in cui Lorenzo Milani, che lavorò a questo scritto per due mesi nell’estate del ’59, terminandolo l’8 agosto, parla - a partire dalla durissima critica ad un intervento del cardinal Ruffini a favore del regime franchista spagnolo - della tremenda responsabilità di coloro che operano nel campo dell’informazione. Il "muro di foglio e incenso" è costituito, da un lato, da un’informazione reticente e addomesticata, dall’altro dal diaframma di cortigianeria e ossequio vile che isola i vescovi dal popolo dei credenti. Questo scritto avrebbe dovuto essere pubblicato sul giornale della sinistra cattolica Politica, ma il suo direttore, Nicola Pistelli, a cui era indirizzato in forma di lettera, non ebbe il coraggio di pubblicarlo, anche in seguito a pressioni della curia. Solo nove anni più tardi lo pubblicherà L’Espresso.



A Nicola Pistelli, direttore di “Politica”, Firenze
Barbiana, 8 agosto 1959
Caro Nicola,
l’opinione pubblica attribuisce ai cattolici di destra lo strano privilegio d’apparire quelli che viaggiano sul sicuro, saldamente agganciati alla roccia della Chiesa. Voi invece quelli della zona pericolosa sull’orlo del precipizio. Le cose non sono così semplici. La via che conduce alla Verità è stretta e ha da ambo i lati precipizi. Esistono eresie di sinistra ed eresie di destra. Il fatto che qualche importante cardinale penda verso le eresie di destra non dà a esse patente di ortodossia. Siamo nella Chiesa apposta per sentirci serrare dalle sue rotaie che ci impediscano di deviare tanto in fuori che in dentro. Queste rotaie non sono costituite dalle interviste del cardinale Ruffini sul giornale della Fiat. Sono invece nel Catechismo diocesano e per portarsele in casa bastano 75 lire. Dopo di che sai preciso cosa puoi dire e cosa no. Tutto quel che non è proibito è permesso e credimi che non è poco.
Del resto, se ti restasse ancora qualche scrupolo hai nella Chiesa un altro motivo di serenità ed è che essa è viva ed è lì apposta per richiamarci coi suoi decreti ogni volta che ce ne fosse bisogno (ho detto coi suoi decreti, non con gli articoli dei cardinali giornalisti). Se questa tranquillità la Chiesa non ci potesse dare non meriterebbe davvero star con lei. Si potrebbe andare a brancolare nel buio della libertà come i lontani.
Così stando le cose io non mi spiego come voi cattolici di sinistra siate ancora tanto timidi di fronte ai cardinali. Forse è che mancate di quadratura teologica.
Per esempio: quegli altri si permettono di guardarvi dall’alto in basso perché usate la critica. Arma che essi dicono profana e indegna di cattolici. Eppure se provi a dire in confessione: «Padre, ho dissentito dall’articolo del cardinal Ottaviani», il confessore ti ride in faccia divertito come riderebbe a un bambino che non conosce la sua dottrina: «E dove leggi che tu debba accettar per buone le opinioni di ogni singolo porporato? Dove non c’è legge non ci può essere violazione di legge neppurveniale!».
Del resto in questo campo i vostri detrattori non guardan tanto per il sottile. Si scagliavano contro il cardinale di Firenze perche' s'era schierato coi licenziati della Galileo. E li incoraggiava persino un altro cardinale con una frase che resto' famosa da quanto era volgare e qualunquista (card. Ottaviani: "comunistellidi sagrestia"). Esigete dunque un trattamento di parità. Siete figlioli devoti della Chiesa voi e loro, per quanto dissenzienti loro da un cardinale voi da un altro.
Siete figlioli devoti della Chiesa perché l’Infallibilità non è uscita dai precisi termini del concilio Vaticano I, quelli stessi che impara il mio Pierino sulla Dottrina diocesana classe V cap. X domandina 17. L’Infallibilità dunque per ora non copre del suo manto tutti e singoli i 75 cardinali, i 281 vescovi d’Italia, i 5 padri del consiglio di redazione della “Civiltà Cattolica”, eccetera. Via, prendiamola in ridere, se no ci si amareggia inutilmente. L’austerità del dogma in cui crediamo, per il quale siamo pronti, se Dio ci dà grazia, anche al martirio, la vorrebbero stirare come la trippa a coprire tutto quel che fa comodo a loro e poi buttarcela in faccia col sospetto di eretici.
La Dottrina dice che il Papa è infallibile. Eretico è chi lo nega ed eretico è chi estende ad altri questo attributo. Non vedo poi argomento per attribuire maggior dignità all’eresia per eccesso che a quella per difetto.
Cattolico è dunque chi si ricorda che i cardinali e i vescovi son creature fallibili. Eretico chi mostra per loro un rispetto che travalica i confini del nostro Credo. Caso mai, se proprio una distinzione si volesse fare, ci sarebbe solo da dire che tra due tendenze egualmente ereticali, l’eresia per eccesso ha l’aggravante d’essere ostacolo al ritorno dei lontani.
Si può avvicinarsi alla Chiesa se essa con rigore dogmatico chiede al neofita solo ciò che ha il diritto di chiedergli. Non a una Chiesa in cui si debba sottostare giorno per giorno alle opinioni personali e agli umori di ogni cardinale.
Noi la Chiesa non la lasceremo perché non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo Insegnamento. Accetteremo da lei ogni umiliazione ma ce lo dovrà dire il Papa con atto solenne che ci impegni nel Dogma. Non il giornale della FIAT. E fino a quel giorno vivremo nella gioia della nostra libertà di cristiani. Criticheremo vescovi e cardinali serenamente visto che nelle leggi della Chiesa non c’è scritto che non lo si possa fare. Il peggio che ci potrà succedere sarà d’essere combattuti da fratelli piccini con armi piccine di quelle che taglian la carriera. Ma son armi che non taglian la Grazia né la comunione con la Chiesa. Il resto tenteremo di non contarlo.
E ora facciamo un altro passo innanzi: abbiamo mostrato che la critica ai cardinali e ai vescovi è lecita, diciamo ora addirittura che è doverosa: un preciso dovere di pietà filiale. E un nobile dovere anche, proprio perché adempirlo costa caro.
Criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo loro bene. Vogliamo il loro bene, cioè che diventino migliori, più informati, più seri, più umili. Nessun vescovo può vantarsi di non aver nulla da imparare. Ne ha bisogno come tutti noi. Forse più di tutti noi per la responsabilità maggiore che porta e per l’isolamento in cui la carica stessa lo costringe. E non è superbia voler insegnare al vescovo perché cercheremo ognuno di parlargli di quella cosa di cui noi abbiamo esperienza diretta e lui nessuna. L’ultimo parroco di montagna conosce il proprio popolo, il vescovo quel popolo non lo conosce. L’ultimo garzone di pecoraio può dar notizie sulla condizione operaia da far rabbrividire dieci vescovi non uno. L’ultimo converso della Certosa può aver più rapporto con Dio che non il vescovo indaffaratissimo. E il vescovo, a sua volta, ha un campo in cui può trattarci tutti come scolaretti. Ed è il Sacramento che porta e quelli che può dare. In questo campo non possiamo presentarci a lui che in ginocchio. In tutti gli altri ci presenteremo in piedi. Talvolta anche seduti e su cattedre più alte della sua. Quelle in cui Dio ha posto noi e non lui. L’ultimo di noi ne ha almeno una di queste cattedre e il vescovo davanti a lui come uno scolaretto.
E qualche volta, credimi, c’è bisogno urgente di trattarlo così! Non è forse come un bambino un cardinale che ci propone a esempio edificante un regime come quello spagnolo? Non c’è neanche da arrabbiarsi con lui. Diciamogli piuttosto bonariamente che non esca dal suo campo specifico, che non pretenda di insegnarci cose su cui non ha nessuna competenza. Non l’ha di fatto e non l’ha di diritto. Ne riparli quando avrà studiato meglio la storia, visto più cose, meditato più a fondo, quando Dio stesso gliene avrà dato grazia di stato. Oppure non ne parli mai. Non è da lui che vogliamo sapere quale sia il tenore di vita degli operai spagnoli. Son notizie che chiederemo ai tecnici. Di lui in questo campo non abbiamo stima. Lo abbiamo anzi sperimentato uomo poco informato e poco serio.
Leggiamo ora un altro episodio. L'ho trovato su una rivista seria, e' circostanziato e firmato, non ho dunque motivo di ritenere che sia inventato:"In uno scompartimento di prima classe del direttissimo Roma-Ancona in partenza da Roma alle 16.37 del 3 ottobre 1958 sedevano un vescovo e due altri religiosi al suo seguito. Il posto accanto al vescovo era occupato da una cartella. Un viaggiatore rimasto in piedi ben per due volte ha chiesto garbatamente se il posto era occupato e i religiosi han risposto di si'. Non era vero. era un'occupazione abusiva fatta col solo scopo di lasciare il vescovo più comodo. Il controllore avrebbe dovuto verbalizzare, ma il viaggiatore rimasto in piedi, pro bono pacis, ha pregato di lasciar correre e la cosa e' finita cosi'." (Il Ponte, 1958 pag.1350).Ti pare inverosimile? A me no. Siamo di nuovo davanti a un ragazzo. L'altro pretendeva di insegnare cose che ancora non conosce. Questo ruba 3450 lire e poi rimedia con una bugia e con tutto questo non si accorge di aver peccato. Gli pare anzi, con un alone di 50 cm di rispettabilità a destra e a manca del suo sedere, di aver reso omaggio al Carattere Sacro della sua persona. Ha vissuto mezzo secolo di storia ed e' già giunto a votare Democrazia Cristiana ma non sa ancora che democrazia e' uguaglianza di diritti. E' nato cento anni dopo la Rivoluzione Francese e non s'e' ancora accorto che quel germe e' fiorito, che ha mutato le nostre ex-pecorelle, le ha rese non più pecorelle soltanto, ma cittadini: gente che si vuol rendere conto e che vuol essere convinta. Eppure tutta questa lezione della storia che egli non ha preso e' lezione di Dio, perché e' Dio che disegna la storia per nostro ravvedimento e affinamento. E l'hanno inteso perfino tanti laici cattolici. Quelli per esempio che sono stati tredici anni al potere in Italia e non si sono sognati di includere nel regolamento ferroviario privilegi per i vescovi. Non l'hanno fattoperche' erano oramai abituati a un sentimento piu' alto e interiore della dignita' vescovile. Qualcosa che e' tanto piu' alta quanto piu' e' vicina, tanto piu' p[iccina quanto piu' pretende un piedistallo che la storia ormai le ha negato. E quello di Bologna che mette a lutto per un mese tutte le chiese della diocesi per un fatto come quello di Prato [il vescovo di Prato mons. Fiordelli fu condannato a 40000 lire di multa per diffamazione nei confronti di due coniugi da lui definiti "pubblici concubini" perche' si erano sposati con il solo rito civile]? E quello stesso di Prato che confronta se stesso con i martiri cinesi? Non son forse tutti uomini che hanno perso il senso delle proporzioni?E a chi mai puo' succedere questa disgrazia immensa se non a chi non ha piu' accanto la mamma che sappia, quando e' l'ora, dargli uno scapaccione oppure a chi non ha piu' intorno dei figlioli coraggiosi che sappiano raccontargli in faccia cio' che dice la gente?Vedi dunque che non e' sdegno per i vescovi che occorre, ma per noi stessi, figlioli vili e egoisti che abbiamo amato piu' la nostra pace che il bene del nostro padre e della nostra Chiesa. Fermiamoci dunque un poco in esame di coscienza. Potevano quegli infelici saper qualcosa sul mondo che li circonda e su se stessi? C'e' qualcuno che li corregge? Abbiamo mai provato a parlar loro francamente cosi' come si parlerebbe al nostro figliolo colto in fallo? No, via, bisogna confessarlo, nessuno di noi si e' curato di educare il suo vescovo. E se tanti vescovivengon su come li vediamo, sicuri di se', saputelli, superbi, ignoranti, enfants gates, come potremo volerne male a loro noi che non abbiamo fatto nulla per tendere loro una mano e riportarli al mondo d'oggi e all'umilta' cristiana e alla giusta gerarchia dei valori? E questo lor essere cosi' non e' per la Chiesa un male molto piu' grande di quanto non lo potra' essere quel turbamento che in qualche animo debole potran fare le critiche? E' meglio conservare il piedistallo alto nell'illusione di coprire un po' alla meglio la vuotezza dei vescovi o e' meglio buttar giu' ilpiedistallo e ottenere, per mezzo di un po' di critica, vescovi capaci di non dire sciocchezze e in piu' splendenti di quell'umilta' che e' virtu' cristiana e quindi in nessun modo disdicevole in un vescovo?
La vita di un vescovo! Io ne so poco, ma me la posso immaginare perché conosco qualche sacerdote importante e anche qualche grosso militare e qualche grosso primario di ospedale. Parallelo al crescendo di importanza un crescendo di isolamento. In presenza a lui i giudizi andavano diventando ogni giorno più prudenti e più chiusi. Per esempio, chi pensava che il Papa facesse a mezzo con Confindustria, lo diceva con scherno impertinente al povero seminarista indifeso. Lo diceva in forma già più attenuata e indiretta al giovane cappellano. Lo diceva solo di lontano al parroco di campagna, padre ancora abbordabile, ma già autorevole personaggio. Non lo diceva per nulla a monsignore parroco di città, amico di un mucchio di persone influenti e molto più potente egli stesso che non il collocatore comunale. Non lo diraà mai al suo vescovo che viene in visita una volta ogni cinque anni e che si può vedee solo dopo molta anticamera in una sala imponente, imponente lui stesso per età, per carica, per grazia. E allora, quando quel vescovo passando per le strade vede sui muri scritte irrispettose per il papa (ma le vede?), non ha elementi per giudicare se siano opera di mestatori estranei senza rispondenza nel cuore degli operai o se siano invece intima convinzione di tanti e che ha avuto esca in errori nostri di cui bisogna correggersi.
Il vescovo che organizza una manifestazione mariana con elicotteri, non ha modo di valutare se questa forma di devozione sdegna o commuove.
Va in visita e non incontra che cattolici o comunisti travestiti da cattolici. Gente comunque che non lo critica, che non si permette di insegnargli nulla. Lo dico senza malanimo. Siamo tutti eguali.Anch’io faccio così nove volte su dieci. Non vien voglia di dire al vescovo ciò che si pensa. E’ più comodo trattarlo coi soliti dorati guanti di menzogna che danno il modo a lui e a noi di vivere senza seccature. Ed egli intanto cresce e matura e invecchia senza crescere né maturare né invecchiare.
Passa per il mondo senza toccarlo. Non abbastanza alto per essere illuminato dal Cielo. Non abbastanza basso per insozzarsi la veste o per imparare qualcosa. Fa errori puerili, s’intende di tutto, giudica la storia, la politica, l’economia, le vertenze sindacali, il popolo con la beata incoscienza di un infante, con l’innocente pretenziosità del generale di armata o del contadino di montagna. È appunto come il generale di armata e come il contadino di montagna un uomo cui nessuno fa scuola. Un infelice. E tanto più è un infelice per il fatto che nel frattempo perfino i laici cattolici hanno aperto un po’ di occhi. Loro che il muro di incenso non proteggeva dai morsi della storia.
E come e' tragico e ingiusto che il Pastore sia rimasto indietro alle pecore! E come potremo non reagire a questo fatto assurdo? Il rispetto? Tacere non e' rispetto. E' dare una spallucciata dopo aver visto degli infelici che non sanno vivere, gente in mare che non sa nuotare. Disinteressarsi del prossimo e' egoismo. Disinteressarsi dell'educazione di fratelli che hanno in mano tanta parte della Chiesa e' disinteressarsi della Chiesa! Meglio essere irrispettosi che indifferenti davanti a un fatto cosi' serio. Dunque quel viaggiatore ha fatto bene a provocare quell'incidente e a pubblicarlo. Povero untorello che diffonde la peste dell'anticlericalismo, (quando dice il vero) serve piu' la nostra Chiesa che la sua. E bisognerebbe ringraziarlo o meglio passargli innanzi ed essere capaci noi dell'esame della nostra coscienza piu' di lui che ce l'esamina malevolmente. E come vorrei saper dare a questo mio articolo un accento cosi' accorato che nessun malintenzionato potesse dire di me che calco le orme dei nemici della Chiesa! E come vorrei far capire che la stessa notiziolaidentica, scritta con le identiche parole, quand'e' sul Ponte e' cattiveria distruttrice, quand'e' in bocca nostra e' amore appassionato per una Chiesa in cui viviamo , da cui non ci siamo mai staccati neppure in prove durissime, una Chiesa che vogliamo migliore e non distrutta. E quale mai interesse se non di paradiso ci puo' far stare con lei dopo le figure che ci ha fatto fare? E come dunque si puo' sospettare i nostri atti? Ma torniamo all'educazione dei vescovi. Dopo la critica la miglior forma di educazione che possiamo dar loro e' di informarli. Le informazioni a un vescovo da dove credi che arrivino? Credi che abbia un apposito servizio di telescriventi che lo colleghi col Vaticano e in Vaticano a sua volta col mondo intero? Non l'ha. Oppure credi che abbia un filo di comunicazione diretta con lo Spirito Santo? Non l'ha neanche il Papa. Lo Spirito lo assiste, ma non lo informa. Te lo immagini lo Spirito in concorrenza con l'ANSA?I fatti dunque di cronaca e di storia il vescovo li sente raccontare, li legge sui giornali, li ascolta alla radio. Creature sono, creature fallibili, spesso creature maliziose quelle che giorno per giorno hanno l'onore di formare il pensiero del vescovo. Che orrore! E noi bisogna star zitti? Perche' noi zitti? Son piu' bellini quegli altri? Per rispetto anche questo? E che rispetto e' mai questo di vedere il nostro padre ingannato ogni giorno, menato per il naso dai padroni della stampa e del mondo e star li' in umile silenzio a lasciar fare?
Quando si sente il cardinal Ruffini lodare il regime spagnolo, verrebbe voglia di dirgli che un dittatore sanguinario o un governante incapace fa più male alla Chiesa quando la protegge che quando la combatte. Ma invece non ci deve essere bisogno di dire queste cose al cardinale. I principi li sa, il Vangelo lo conosce. Non è di idee giuste che occorre rifornirlo. Le avrebbe inventate da sé senza che nessuno gliele avesse suggerite se solo avesse visto certi fatti. Oppure se li avesse saputi con tanta precisione e insistenza da esser come se li avesse visti. Di fronte al bisogno ogni uomo diventa inventore come Robinson nell'isola. E il bisogno di una soluzione ideologica soddisfacente lo crea il cuore quando ha visto la sofferenza. Un cardinale (fino a prova contraria) lo presumi in buona fede, onesto, buono e inorridito del sangue. Se la sua mente non cerca quali siano gli errori di fondo del regime spagnolo è segno che i suoi occhi non erano presenti a qualcuno di quei fatti disumani che visti da vicino bastano a schierare un cuore per sempre. Nell'austero silenzio della biblioteca di un convento domenicano dove non entra né pianto di spose né allegria di bambini, si può ben disquisire sulla liceità della pena di morte, sui diritti del principe e sulla preminenza del bene comune. Ma nel cortile di un carcere spagnolo quando il forte il vincitore uccide il debole il vinto, quando solo a guardarla in viso la vittima si rivela non un comune delinquente ma creatura alta che ha preposto il bene del suo prossimo al proprio tornaconto. Oppure fuori dei cancelli dove l'urlio di madri, spose, figlioli trasforma anche il comune delinquente in figlio, marito, babbo, in qualche cosa cioè che vorremmo far vivere e non morire, allora le conclusioni di biblioteca si vorrebbe tornassero in altro modo, allora si ritorna sui testi con un altro desiderio in cuore e nel giro di un'ora il meccanismo dei sillogismi ha bell'e sfornato la soluzione giusta. Questo saprebbe fare anzi correrebbe a fare anche il cardinal Ruffini, ne son sicuro. Ma il cardinale, nel cortile del carcere di Barcellona nel giorno del Congresso Eucaristico non c'era. E non c'era neanche l'inviato speciale del muro di carta che lo circonda. L'inviato era pochi passi più in là in quella stessa Barcellona in quello stesso giorno. Era a fotografare il generale Franco genuflesso su un faldistorio di velluto rosso dinanzi a centomila fedeli sudditi, mentre leggeva la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore. Il generale Franco non ha ascoltato neanche il telegramma del Papa per gli undici sindacalisti di Barcellona e li ha uccisi a sfida nel giorno stesso del Congresso.
Sono abbonato al Giornale del Mattino. Sono abbonato anche a un settimanale cattolico francese. Se non avessi avuto il secondo non mi sarei mai accorto sul primo di quel che fa la polizia francese. Non che la notizia non ci fosse, ma era riportata di rado e non in vista, e in forma dubitativa e senza particolari. Quanto basta per non accorgersene. Oppure accorgersene ma non dargli il suo posto. Accorgersene ma non schierarsi. Sul giornale cattolico francese la stessa notizia e' martellata a tutta pagina e spesso si sente anche la testimonianza diretta dei torturati. E non solo le cose dolorose, ma anche quelle volgari: "Enculer il torturato, pisciargli in faccia, fargli assaggiare la merde francaise, passargli l'alta tensione pei coglioni etc" (Temoignage Chretien 26.6.59 pag.3 e pag.5).Quattro frasi che non leggeremo mai su un giornale cattolico italiano. C'e' chi se ne rallegra perche' le trova sconce. Io invece sento una gran tristezza nell'appartenere a una Chiesa sui cui giornali le cose non hanno mai un nome. Il galateo, legge mondana, e' stato eletto a legge morale nella Chiesa di Cristo? Chi dice coglioni va all'inferno. Chi invece non lo dice ma ci mette un elettrodo, chi non lo dice ma non persegue i polizziotti che si macchiano di queste atrocita' e persegue invece il libro che testimonia queste cose (La Gangrene, Editions de Minuit 1959) viene in visita in Italia e il galateo vuole che lo si accolga con il sorriso. Il presidente Leone ha rimproverato un deputato: "Non mi sembra opportuno dir male di uno Stato proprio quando il suo capo si trova in questa stessa citta'" (seduta del 25.6.59). E a me invece non sembra opportuno stringere la mano a De Gaulle senza avergli detto queste cose in faccia. Avrei paura che il figlio di un torturato vedesse sui giornali la mia fotografia accanto a De Gaulle magari nell'atto di stringergli la mano col sorriso ebete e beato delle fotografie ufficiali. Avrei il terrore che egli si stampasse il mio viso negli occhi per riconoscermi il giorno in cui per caso mi vedesse sul pulpito in una chiesa missionaria d'Africa. Il galateo dei giornali cattolici italiani in un articolo come questo toglierebbe i nomi di cardinali e vescovi, toglierebbe i dati esatti del treno Roma-Ancona, toglierebbe i particolari sulla tortura parigina, toglierebbe tutto cio' che convince e si imprime. E si defrauderebbe anche della frase di quel mussulmano torturato: "Avevo sentito dire che quel genere di tortura rende impotenti e il pensiero che avevo gia' un bambino mi riconfortava". Che irresistibile moto di solidarieta' nasce quando s'e' letto queste parole! Che uomo grande e' quello! Che grande civilta' e che civilta' spirituale deve avere dietro di se' per poter esprimere questo pensiero durante la tortura invece che i pensieri di odio. E come questa civilta' non avra' diritto a autogovernarsi? e come son piccini quegli altri. Piccoli e volgari oiltre che feroci. E che terrore che essi siano non l'eccezione casuale, ma il segno di una societa' in disfacimento. E come fa paura il pensiero che essi non sono soli dato che il governo "cattolico" si rifiuta di indagare, dato che ha anzi espressamente abolito nella nuova Costituzione il limite di tempo entro il quale la polizia deve consegnare un prigioniero al magistrato. Il cuore si schiera irresistibilmente. Ecco cosa puo' fare la stampa con il solo scegliere le cose da raccontare oppure col solo modo di raccontarle. E bada che non si tratti di uno schierarsi sentimentale che debba per forza concretarsi in uno schieramento politico con l'Algeria contro la Francia, Non e' trovare subito una soluzione o ignorare alcune ragioni che possono avere anche i francesi in Algeria. E' solo un aver presente al cuore la realta' nella sua interezza e concretezza. Questa e' l'anticamera necessaria di uno schieramento razionale ed onesto. Ed e' questo che i nostri giornali defraudano a noi e al nostro vescovo. E il danno e' immenso perche' la maggior parte di noi (vescovi compresi) siamo abituati come le donne a ragionare piu' col cuore che col cervello. E le informazioni vanno si' alla memoria, ma passando per il cuore, e passando lo formano se sono equilibrate, lo deformano se sono unilaterali, in mille modi che la mente non sa piu' controllare. Passano e ripassanop per il canale del cuore del cardinal Ruffini le informazioni sulle torture ungheresi e il cuore batte. Il cuore del cardinale e' generoso, batte e si allarga da quella parte. Perfino uno scomunicatissimo capo comunista (Nagy, Beria ecc.) a un teleordine dell'United Press diventa a un tratto acceleratore di battiti di cuore episcopale. E le notizie di Partigi e di Barcellona non passano. Oppure le une passano con particolari che scuotono, le altre passano in volosenza fermarsi. E se invece di Barcellona e Parigi avessi pescato esempi in campo sindacale italiano, quanto poco mi ci sarebbe voluto a dimostrare che i giornali cattolici ignorano quel mondo e lo relegano nell'ultimo cantuccio o addirittura ne sfalzano maliziosamente i valori? Un volgare matrimonio di principi ha avuto tutta pagina per settimane (e senza critiche), erano le stesse settimane in cui i giornali cattolici iognoravano la gravita' delle vertenze che erano accese in quel momento o peggio si univano incoscienti al coro della stampa "indipendente" per mettere in evidenza solo qualche disagio contingente che quegli scioperi provocavano invece di studiarne la sostanza. Sostanza di gran peso se aveva posto in agitazione due milioni di lavoratori italiani apparteneti a tutte le organizzazioni sindacali con la CISL in testa. Il fatto che due milioni di lavoratrori (cattolici compresi e non ultimi) hanno sacrificato generosamente settimane di salari e rischiato e subito rappresaglie per avere esercitato un loro preciso diritto costituzionale non e' fatto talmente serio da meritare la prima pagina nel giornale cattolico e quindi nel cuiore del vescovo? MA non l'ha avuta e se il vescovo non va a cercarla apposta relegata nel cantuccio sindacale non trova la documentata risposta di Storti alle banali accuse della grande stampa contro la CISL. Gli succede quello che e' successo a Barcellona e Parigi. Per le notizie di lontano spesso siamo stati ingannati anche noi come lui. Per le notizie di vicino (per es. queste ultime) spesso, troppo spesso, s'e' visto cio' che lui non poteva vedere e siamo stati zitti. E ora e' colpa nostra se il cuore del nostro vescovo e' guidato coi fili dai giornalisti. Dai giornalisti il cui cuore e' guidato a sua volta da chi? Lo sappiamo purtroppo e vien fatto di rabbrividire. E' una catena di responsabilita' "irresponsabili", che aggroviglia tutto, e disonora in conclusione noi, la nostra gerarchia, la nostra Chiesa. E poi c'e' la figura patetica di quell'uomo prigioniero dell'informazione reticente e dell'ossequio vile. E fa pieta' non solo per i cristiani e per i lontani che egli ha ingiustamente disorientato, ma anche per lui stesso.
Un prigioniero bisogna aiutarlo e liberarlo, e tanto più quando è prigioniero il nostro padre. Se non gli sbraneremo il muro di carta e non gli dissolveremo il muro di incenso Dio non ne chiederà conto a lui ma a noi. Ci toccherà rispondergli di sequestro di persona. Dopo tutto quel che abbiamo patito in questo mondo ci ritroveremo nell’altro becchi e bastonati.

sabato 5 novembre 2011

Aiuto per la Sierra Leone


Ciao a tutti, come molti di voi già sapranno ci stiamo spostando in Africa. Più precisamente in Sierra Leone.
La Sierra Leone è uno dei paesi più poveri del mondo, e in tempi recenti è stato sconvolto da una feroce guerra civile.
Noi andremo la per insegnare all' Università di Makeni (http://www.universityofmakeni.com/).
Insegneremo antropologia e lingua e cultura cinese. A causa della situazione contingente dovremmo portarci i libri di testo che serviranno a noi per insegnare e agli studenti per studiare.
La spedizione di una scatola di libri da Taiwan alla Sierra Leone costa intorno ai 6.000 dollari taiwanesi, intorno ai 146 euro per intenderci.
Se qualcuno conoscesse un modo più economico per effettuare la spedizione, oppure se volesse contribuire anche in parte alla spedizione può contattarci direttamente.
Scrivendo all'indirizzo email non.sono@gmail.com vi indicheremo il conto corrente bancario in cui fare un versamento.
Ve ne saremo davvero riconoscenti !

Marco Lazzarotti

媽祖 Mazu pilgrimage

This is a Movie that I made during the annual pilgrimage of one of the most important deities in Taiwan: 

Mazu 媽祖.






The annual tour of this goddess is held during the third month of the lunar calendar of Mazu's birthday, which falls on the 23rd day of that month. During the Lantern Festival, which begins on the 15th day of the forst lunar month, Zhenlan Temple of Dajia decides upon the dates for that year's pilgrimage by casting wooden divination blocks, thereby acquiring Mazu's "approval".

sabato 29 ottobre 2011

Indovinello artistico

Indovina indovinello, dove si trova questo capitello?



martedì 4 ottobre 2011

爲了獅子上幫一個忙.........


大家好,
大概現在大家已經收到消息了!我們要搬到非洲去,在獅子山共和國。
獅子山共和國是全世界最平窮國家之一,最近年來他也通過一個很殘忍的戰爭。
我們要去那邊爲了在Makeni大學教書(http://www.universityofmakeni.com/)。我們要教文化人類學,中文與中國文化。
因爲獅子山的情況,我們要自己帶課本。這些書也會幫組我們教書,同時會幫助學生們學習。
寄一個箱子到非洲大概需要6000塊臺幣。
如果有人知道一個比較便宜的方式爲了把東西寄出去,或有人想跟我們分享貨運的經費,可以直接跟我們聯絡。
只要寫信給non.sono@gmail.com 我們會提供一個銀行窗戶。
我們會十分感謝!


Marco Lazzarotti

Help for Sierra Leone


Hello everyone, as many of you already know we are moving in Africa. More precisely, in Sierra Leone. Sierra Leone is one of the poorest countries in the world,and in recent times has been devastated by a brutal civil war. We're going to teach at the University of Makeni (http://www.universityofmakeni.com/). We will teach anthropology andChinese language and culture. Because of the current situation we should bring the textbooks by ourselves, textbooks that will help us to teach and students to studyThe shipment of a box ofbooks from Taiwan to the Sierra Leone cost around 6,000 Taiwanese dollars, around 195 $.
If someone knew a cheaper way to make the shipment,or if you would also contribute in part to the delivery can contact us directly writing a mail at non.sono@gmail.com we will indicate the bank account in which to make a deposit.
We will be very grateful !

Marco Lazzarotti

sabato 3 settembre 2011

Antropologi, antropologhi, antro............


A volte uno fa incontri nella vita. . . .  incontri l'autore di uno dei testi (non solo di uno, di molti a dire il vero) che ti ha arricchito di piu` nel tuo percorso scolastico e umano, e tutto quello che riesci a dirgli e` se puo` farsi una foto con te. E ti restano queste foto e le espressioni ebeti in esse immortalate.
Vabbuo` va, meglio di niente........




mercoledì 31 agosto 2011

Attaccarsi alla poltrona

Finalmente ho trovato il modo per impedire che chi raggiunge una carica si aggrappi alla poltrona




Basterebbe cambiare le poltrone con queste praticissime sedie usate dai medium Taiwanesi


RISULTATO GARANTITO !!!!!!

martedì 26 luglio 2011

Norway’s slaughter, Berlusconi’s Journalist states: Those youngsters in the island, selfish and incapable.


While Norway still mourns its victims, an endless delirium is unleashed. As we already seen, Berlusconi’s newspaper “Il Giornale” tried to blame the Oslo slaughter to the Islamic extremists. They had to replace the front page as the news of home-grown terrorism unfolded. So since the perpetrator is Christian, right-winged and Norwegian, Vittorio Feltri went crazy. How could he blame a guy like that, the exact portrait of the Berlusconi supporter? There must be another way. And Feltri finds it for today’s headlines: “Those youngsters unable to react”. His theory is as vile as simple. How is it possible, Feltri wonders, that the 500 Utoya island youngsters couldn’t stop the massacre? According to Feltri, they could have assailed the killer simultaneously and ”some of them would have been surely killed but not all of them”. In other words, according to Feltri, the problem was that everyone “cared for only himself”. So the massacre is to be blamed on the victims themselves which refused to “identify with the others”: incapable, selfish and losers. 
Can a man fall any lower than this?
Massimo Malerba

venerdì 22 luglio 2011

Indovina indovinello: Secondo voi di chi parla questo testo?

"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. 

Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? 

Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. 
La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. 

Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. 

Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. 

Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. 

In Italia è diventato il capo del governo. 

Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. 

Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare. "

Ma se vi dico che e` marmo ci credete?


mercoledì 8 giugno 2011

Bartolomeo Sacco: Lettera al figlio Dante


«Mio carissimo figlio e compagno,
sin dal giorno che ti vidi per l'ultima volta ho sempre avuto idea di scriverti questa lettera: ma la durata del mio digiuno e il pensiero di non potermi esprimere come era mio desiderio, mi hanno fatto attendere fino ad oggi. Non avrei mai pensato che il nostro inseparabile amore potesse così tragicamente finire!
Ma questi sette anni di dolore mi dicono che ciò è stato reso possibile. Però questa nostra separazione forzata non ha cambiato di un atomo il nostro affetto che rimane più saldo e più vivo che mai. Anzi, se ciò è possibile, si è ingigantito ancor più. Molto abbiamo sofferto durante il nostro lungo calvario.
Noi protestiamo oggi, come protestammo ieri e protesteremo sempre per la nostra libertà. Se cessai il mio sciopero della fame, lo feci perchè in me non era rimasta ormai alcuna ombra di vita ed io scelsi quella forma di protesta per reclamare la vita e non la morte, il mio sacrificio era animato dal desiderio vivissimo che vi era in me, per ritornare a stringere tra le mie braccia la tua piccola cara sorellina Ines, tua madre, te e tutti i miei cari amici e compagni di vita, non di morte. Perciò, figlio, la vita di oggi torna calma e tranquilla a rianimare il mio povero corpo, se pure lo spirito rimane senza orizzonte e sempre sperduto tra tetre, nere visioni di morte. Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili. Continuamente pensavo a te, Dante mio, nei tristi giorni trascorsi nella cella di morte, il canto, le tenere voci dei bimbi che giungevano fino a me dal vicino giardino di giuoco ove vi era la vita e la gioia spensierata - a soli pochi passi di distanza dalle mura che serrano in una atroce agonia tre anime in pena! Tutto ciò mi faceva pensare a te e ad Ines insistentemente, e vi desideravo tanto, oh, tanto, figli miei! Ma poi pensai che fu meglio che tu non fossi venuto a vedermi in quei giorni, perché nella cella di morte ti saresti trovato al cospetto del quadro spaventoso di tre uomini in agonia, in attesa di essere uccisi, e tale tragica visione non so quale effetto avrebbe potuto produrre nella tua mente, e quale influenza avrebbe potuto avere nel futuro. D'altra parte, se tu non fossi un ragazzo troppo sensibile una tale visione avrebbe potuto esserti utile in un futuro domani, quando tu avresti potuto ricordarla per dire al mondo tutta la vergogna di questo secolo che è racchiusa in questa crudele forma di persecuzione e di morte infame. Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre Idee che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire. Dante, per una volta ancora ti esorto ad essere buono ed amare con tutto il tuo affetto tua madre in questi tristi giorni: ed io sono sicuro che con tutte le tue cure e tutto il tuo affetto ella si sentirà meno infelice. E non dimenticare di conservare un poco del tuo amore per me, figlio, perchè io ti amo tanto, tanto... I migliori miei fraterni saluti per tutti i buoni amici e compagni, baci affettuosi per la piccola Ines e per la mamma, e a te un abbraccio di cuore dal tuo padre e compagno.
Nicola Sacco»

venerdì 3 giugno 2011

No potho reposare

Questa canzone mi ha accompagnato per molto tempo, dai tempi dell'universita`, quando il mio compagno di casa (che coraggio chiamare casa quella stanzetta...) Gianmarco, mi insegno` a cantarla (e c'e` voluto del coraggio: e` stonatissimo) in Piazza dei Cavalieri. Mi piace ascoltarla quando sono un po' malinconico e pure quando vorrei che mia moglie parlasse o capisse un po' di piu` l'Italiano, mi piacerebbe potesse cogliere e accogliere la dolcezza di questa lingua e di questa canzone.
Ho scelto di condividere con voi questo video perche` oltre alla bellezza della canzone, mi ricorda Andrea Parodi, conosciuto come la voce dei Tazenda. Questo e` il suo ultimo concerto.


No potho reposare

Non potho riposare amore ‘e coro,
pensende a tie so d’onzi momentu.
No istes in tristura prenda ‘e oro,
ne in dispiaghere o pensamentu.
T’assicuro che a tie solu bramo,
ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
Si m’esser possibile d’anghelu
s’ispiritu invisibile piccabo.
T’assicuro che a tie solu bramo,
ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
Sas formas
e furabo dae chelu su sole e sos isteddos
e formabo unu mundu bellissimu pro tene,
pro poder dispensare cada bene.
Unu mundu bellissimu pro tene,
pro poder dispensare cada bene.
Non potho reposare amore ‘e coro,
pensende a tie so d’onzi momentu.
T’assicuro che a tie solu bramo,
ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo.
T’assicuro che a tie solu bramo,
ca t’amo forte t’amo, t’amo e t’amo


traduzione in italiano

Non posso riposare

Non posso riposare amore del cuore,
sto pensando a te ogni momento.
Non essere triste gioiello d’oro,
ne addolorata o preoccupata.
Ti assicuro che desidero solo te,
perché ti amo forte, ti amo e ti amo.
Se mi fosse possibile prenderei
lo spirito invisibile dell’angelo.
Ti assicuro che desidero solo te,
perché ti amo forte, ti amo e ti amo.
Le forme
e ruberei dal cielo il sole e le stelle
e creerei un mondo bellissimo per te,
per poterti regalare ogni bene.
Un mondo bellissimo per te,
per poterti regalare ogni bene.
Non posso riposare amore del cuore,
sto pensando a te ogni momento.
Ti assicuro che desidero solo te,
perché ti amo forte, ti amo e ti amo.
Ti assicuro che desidero solo te,
perché ti amo forte, ti amo e ti amo


martedì 10 maggio 2011

Ho fatto un sogno - http://zucconi.blogautore.repubblica.it/?p=5782

Ho fatto un sogno. Ho sognato che il grande pifferaio Beppe Grillo tornasse a Milano e lanciasse uno dei suoi straordinari monologhi, molto più seri e divertenti del lugubre, ma furbo Ferrara che fa pubblicità alle stelline perchè sa che saranno loro a bruciare il paglione elettorale della opposizione alla sciuretta Letizia, per fare appello ai milanesi e dire che non è mica vero che sono tutti uguali, che nella vita, come nelle corsie degli ospedali, c’è il male e c’è il peggio. Che questo è un momento storico che potrebbe non ripetersi per altri dieci anni, se Berlusconi riesce a scalare il Colle del Quirinale, il momento di altre 5 Giornate, una per ogni stellina, per dare una mano a liberare Milano da quella banda di buoni a nulla, di sepolcri imbiancati che gridano il nome di Dio invano, di Ambrogini in similoro, di falsificatori di firme elettorali, di parassiti, magnaccia, pescivendole di regime, Olgettina girls, agit prop, falsi attentati, balere con tempeste di neve indoor e vecchi malfattori che sgovernano la “me Milàn” da una generazione, e l’hanno ridotta a periferia dell’Europa. Che non è il tempo della vanità e degli “ego trip” da tenore, ma della fatica comune e umile, perchè è possibile, davvero possibile, questa volta, cacciare quei magliari che definiscono la magistratura un cancro e una procuratrice della Repubblica una metastasi e per gridare che quando brucia la casa comune si cerca di spegnere l’incendio, piuttosto che discutere sull’uniforme dei pompieri, per poi fare i conti e i progetti per ricostruirla con quelli che hai aiutato a vincere, non con quelli che hai aiutato a perdere e dunque non contano una beata cippa, come te che ti credi importante. Ho visto la folla dei giovani topini stellari seguire il suo pifferaio magico per bussare alle porte dei condomini, come fecero i democristiani nell’aprile del 1948, e portare anche i malati e i vegliardi a votare per chi può almeno cambiare un po’ aria nelle stanze, sapendo che se cade la Milano della nuova Tangentopoli metamafiosa, peggiore di quella vecchia, cadrà anche la maggioranza degli Scilipoti, dei Paniz e degli Stracquadanio a Roma e almeno il Papi al Quirinale ce lo risparmieremo, se vi par poco. Poi mi sono svegliato. Era la notte di lunedì 16 maggio e Letizia Brichetto Arnaboldi Batman Moratti in Saras aveva vinto al primo colpo, senza neppure bisogno del ballottaggio, garantendo ai suoi sponsor, burattinai e compari altri cinque anni di una Milano da mangiare e da vomitare. E Silvio, tornato a volare alto fra le stelle dopo tanta strizza, rideva.

giovedì 28 aprile 2011

La Prima Puntata del Toto` Quiz !!!

Da una geniale idea di mio cognato.....il Toto` Quiz, buona visione a tutti !!

martedì 26 aprile 2011

Pilgrimage in Taiwan: Dajia Mazu - 大甲媽祖

Questo video rappresenta la preparazione e la condivisione del cibo durante il passaggio del pellegrinaggio di Mazu, una delle piu` importanti divinita` Taiwanesi.



domenica 3 aprile 2011

QUELLO CHE I BAMBINI INSEGNANO AI GRANDI

QUELLO CHE I BAMBINI INSEGNANO AI GRANDI

Qualche settimana prima di Natale ero vicino a Ferrara e incontravo dei bambini di IV e di V in una scuola elementare. Parliamo un po’ di tutto. Coi bambini si può parlare di tutto, del terrorismo, dell’inquinamento, della bomba atomica, dei rapporti coi genitori. Poi mi chiedono di raccontargli una storia nuova e io propongo di farla insieme. Io suggerisco un oggetto su cui costruire questa storia. E ispirandomi ai giocattoli elettronici che avevo già visto nelle vetrine e che mi sembrava fossero la moda di quest’anno, quelli più avanzati, molto piccoli con i quali si fanno operazioni molto complesse, perché adesso vi sono anche microprocessori che permettono ai bambini di giocare con la tecnologia più sofisticata, ho inventato un telecomando che non serviva a spostare immagini sul video, ma a spostare il manovratore: io mi sintonizzo con i canali spaziali, schiaccio un bottone e sono io a spostarmi nel tempo e nello spazio: schiaccio un bottone e sono in Australia oppure mi sposto al tempo dell’incoronazione di Carlo Magno o nel cinquemila! Voglio vedere come sarà Milano nel tremila! Insomma avevo giocato con questi canali immaginando tutti i possibili usi. Ad un certo punto vedo due bambini che sussurrano tra loro e ridono. Gli chiedo di informarmi. Gentilmente mi informano e uno dei due dice: " Il mio compagno dice che lui manderebbe sull’altro canale la maestra ". Allora io approfitto anche di questo e introduco nel giocattolo anche un’altra serie di canali per spostare a piacimento oggetti e persone. Dice un bambino: " Quando mio padre sta per darmi una sberla lo faccio sparire sull’altro canale ". Un altro dice: " Quando la mia mamma mi dà la minestra di verdure ". Un altro quando il fratellino è antipatico. Così via e per alcuni minuti ho assistito a una serie di parricidi, matricidi, fratricidi, maestricidi, bidellicidi (perché anche il bidello era un nemico) e chiedo ai ragazzi se non si sentivano un po’ terroristi. Mi rispondono di no, perché poi schiacciando un altro bottone li facevano ricomparire. Certo forse il dottor Freud avrebbe avuto un’altra idea di questo giocattolo. Avrebbe incominciato a chiamare il suo Edipo. Ma se uno sta dalla parte dei ragazzi, potrebbe allora dire al dottor Freud perché si è occupato tanto del complesso di Edipo e tanto poco del complesso di Laio. In fin dei conti, è vero che Edipo ha ammazzato il padre senza saperlo, ma è anche vero che prima suo padre lo voleva far fuori facendolo abbandonare in quel modo. Prima di un parricidio c’è sempre stato un figlicidio in tutti i miti, in tutte le leggende, in tutte le religioni primitive. Cronos che divora i suoi figli e solo Zeus si salva perché la madre lo nasconde. Romolo e Remo abbandonati sul fiume. Giacobbe e Isacco ecc. Il figlicidio c’è stato prima del parricidio. Allora anche questo sarebbe un po’ da discutere. Ma io non voglio addentrarmi ne’ nella cronaca nera, ne’ nella psicanalisi: tanto più che la psicanalisi ne uccide più della spada se non è manovrata da chi la conosce bene. Ma mi accontenterò di citare la più recente inchiesta sui bambini italiani. Quella del settimanale Famiglia Cristiana e dell’istituto Doxa. Da questa inchiesta si ricava: che i genitori italiani che gridano e si arrabbiano con i figli che non sono stati buoni (e non creiamoci complicazioni semantiche su che cosa vuol dire essere buono) sono l’82% dei padri e il 60% delle madri. Sono molti. Quelli che danno qualche sberla o picchiano i figli fino a una certa età sono il 71% dei padri e il 57% delle madri. Sono molte anche le madri. E’ vero che arrabbiarsi o distribuire qualche sberla ai figli non è un figlicidio, ma è pur sempre un ricorso alla forza, è un ricorso al potere. Chiamatela autorità, principio educativo, severità, tradizione, ma è pur sempre l’uso della forza. E’ qualcosa che a me ha spiegato a sufficienza anche tutti quei parricidi e matricidi fantasticati dai ragazzi di Cento presso Ferrara. A questo punto vi dirò che a me piace interrogare i bambini in modo indiretto mettendo in movimento la loro fantasia. Perché se io pongo loro un problema fantastico le loro soluzioni sono sempre più avanzate delle mie. L’ho imparato in trent’anni! Sono sempre più coraggiose; vanno sempre un passo più in là. Inoltre mi sembra che le risposte date su questo terreno possano essere più sincere di quelle che i bambini possono dare a un questionario. Ecco per esempio altre risposte di bambini: l’anno scorso ho inventato un altro gioco di fantasia, che si può chiamare "codice di avviamento fantastico" perché si può fare con il codice di avviamento postale. Leggo questi elenchi di nomi di città, non per fantasticare di andarci, ma per introdurre ogni tanto una rima e questo subito fa comparire un personaggio, crea una situazione. Leggo Rovigo e mi viene in mente quella signora di Rovigo che tutte le sere mette le scarpe in frigo. Leggo Abbatemarco: una ragazza ha piantato il fidanzato nel parco. Non piantato nel senso di abbandonato, ma piantato proprio nella terra per non lasciarselo scappare. A un gruppo di ragazzi vicino a Torino pongo questo problema: "Un tale di Orbassano correva dal farmacista con il naso in mano". Non con una mano sul naso, ma con il naso nella mano. Evidentemente se l’era soffiato un po’ troppo forte e gli era rimasto nella mano. Situazione assurda, insensata, ma i bambini come l’hanno svolto questo tema? L’hanno fatto a gruppi e alla fine hanno presentato un piccolo spettacolo in cui c’era un uomo e sua moglie. "Quest’uomo invitava tutte le sere i suoi amici a giocare a carte in casa. Giocando alle carte si arrabbiava, si soffiava il naso, il naso si staccava, correva dal farmacista per farselo attaccare (adesso ci sono colle che attaccano tutto) e intanto diceva alla moglie: mentre vado dal farmacista tu fai gli agnolotti così dopo mangiamo. Questo succede una sera, due sere, la terza sera la moglie dice, ma voi sempre a giocare alle carte e io sempre in cucina a fare gli agnolotti, questa sera gli agnolotti ve li fate da soli. Allora il marito comincia a sgridare la moglie, marito e moglie vengono a brutte parole, poi vengono alle mani e la moglie assesta un pugno al marito proprio sul naso e glielo attacca in modo definitivo. Dopo quella volta non si stacca mai più ". Ora vedete il modo come i bambini hanno riempita questa cornice assurda, questo non-senso con la loro esperienza, con la loro conoscenza dei modelli familiari, in mezzo a cui crescono e magari con valori non del tutto tradizionali perché si sono schierati dalla parte della moglie che si ribella alla sua funzione di cuoca per i giocatori di carte. Mi sembra dunque che hanno messo in movimento, per rispondere a questo quesito fantastico, la loro realtà, la loro esperienza e anche qualcuna delle loro idee. Un altro esempio: "Uno studente di Molfetta capiva la matematica solo in bicicletta". I ragazzi concludono la storia pensando che questo studente chiede al professore di interrogarlo dalla finestra, mentre lui gira in bicicletta per il cortile e rispondendo dalla bicicletta dà delle risposte formidabili. Anche qui si nota come assurdo è il problema, grottesca la soluzione. Questo povero ragazzo ogni giorno prendeva brutti voti in matematica e poi improvvisamente quando andava a casa si accorgeva che sulla bicicletta sapeva tutto: intere colonne di logaritmi, la soluzione di tutti i teoremi e ricordava tutta la matematica dagli insiemi ai gruppi ecc. Allora chiede (dicono i ragazzi perché la storia l’hanno raccontata loro) al professore di interrogarlo dalla finestra mentre lui gira con la bicicletta nel cortile e, rispondendo dalla bicicletta risponde esattamente, ed ecco che anche gli altri ragazzi cominciano a salire sulla bicicletta; allora anche il professore prende la bicicletta e diventa una classe che quando c’è l’ora di matematica esce e fa passeggiate in bicicletta e imparano la matematica con grandi risultati. Anche qui si è fatta strada, mi sembra, nel racconto fatto dai ragazzi, una loro richiesta che pure è seria. Perché la scuola per essere seria deve essere noiosa? Forse può essere seria anche in altri modi.

I bambini di queste storie erano fra gli otto e i dieci anni. Cioè si direbbe con un piede nella fase che siamo abituati a chiamare la fase magica della crescita e un piede nella fase della conoscenza. A meno di ammettere, come si comincia a fare, e anch’io sarei modestamente di questa opinione, che queste due fasi non siano così assolutamente contrapposte. Insomma che magia e logica siano piuttosto due poli dello stesso processo funzionale. Ma forse a questo punto bisognerebbe cominciare ad accorgersi che quella che viene chiamata la fase magica dell’infanzia, non è nemmeno la prima nella formazione del bambino. Noi non disponiamo ancora di qualcosa che si può chiamare la psicologia prenatale, la pedagogia prenatale, per quanto disponiamo già di persone che lavorano in questa direzione. Sui comportamenti e sui rapporti tra la madre e il bambino in formazione ne sappiamo di più di quanto potevamo saperne 20 anni fa. Per esempio sappiamo che le prime esperienze vitali le compiamo nel grembo materno in cui si forma la sensibilità: a un certo punto il bambino comincia a sentire, stando nel grembo materno, ascolta il battito del cuore materno e vive di quel ritmo binario, ripetitivo, quasi ossessivo, se volete, che poi sarà il ritmo delle ninne nanne, delle filastrocche, delle musiche più semplici. Posso sbagliare, e la mia sarà una metafora non una teoria, perché mi sembra che nell’attuale successo mondiale della musica rock, di certe musiche fondate su un ritmo ripetitivo quasi ossessivo, mi sembra di sentire qualcosa come una regressione di massa al ritmo del cuore materno, sperimentato prima della nascita: una specie di ritorno di massa a prima dell’impatto con la realtà. Perciò dico vorrei che ne sapessimo di più sulla vita del bambino in formazione, sulle sue sensazioni gratificanti e sui suoi momenti di allarme e di pericolo che non possono mancare anche quando il bambino sta ancora formandosi nel seno materno. E mi pare che forse lì, ci sono le più lontane radici delle paure che tutti sperimentiamo nell’infanzia e che molti trasciniamo per tutta la vita. La paura non comincia con la nascita, comincia prima. E certo la nascita è già, di per sé, un salto pauroso da un mondo chiuso, protetto, tranquillo accompagnato da quel ritmo rassicurante, a questo mondo non solo pieno di luce ma di rumore, di fantasmi, di apparizioni. Noi possiamo ridere di chi crede nei fantasmi ma ciascuno di noi ha visto fantasmi di oggetti prima di vedere oggetti. Quando ha aperto gli occhi per la prima volta finché la vista non aveva avuto certi aggiustamenti. Prima di vedere le persone e di riconoscerle, di individuarle, di classificarle nell’insieme di forme e di colori che si presentano agli occhi confuse, prima ha visto fantasmi di volti. E qualcuno di questi fantasmi può anche averlo spaventato: un volto che si china improvvisamente su una culla in certe condizioni di luce o di buio, che possono essere drammatiche, è un mostro. Perché ai bambini piace vedere i film dell’orrore? Perché agli adulti piace vedere i film con i mostri? Perché tutti noi abbiamo visto i mostri quando ancora non sapevamo vedere gli oggetti e le persone. Quando ancora non dominavamo la nostra vista, abbiamo avuto esperienza dei mostri prima di vederli nei sogni. Ecco il punto che mi sembra importante e non ancora chiarito: abbiamo visto i mostri prima di cominciare a sognare e forse questi film ci permettono di padroneggiare quelle antiche emozioni, di dominare quelle antiche apparizioni. Poi è venuta, per esempio, la paura del buio della quale si parla tanto. Ma la paura del buio non è un fatto dell’immaginazione, ha origine nell’esperienza. Il bambino si guarda la mano: i bambini in culla spesso si guardano la mano, se la rigirano. Si spegne la luce, la mano scompare e il bambino non ha ancora realizzato che la mano è sua e che non ha niente a che fare con la luce e il buio. Non ha ancora concepito le differenze dello spazio e della sua presenza e della sua diversità nello spazio. Il buio gli ha fatto scomparire la mano che stava guardando (ha fatto scomparire l’oggetto su cui stava fissando la sua attenzione, il volto materno, le persone che lo circondavano). Allora, dopo, il bambino impara anche ad aprire e chiudere gli occhi per far apparire e scomparire gli oggetti. Ma questo lo fa prima della sua fase magica in cui il bambino, noi diciamo, crede, come il primitivo, di poter influenzare gli eventi con le sue parole e i suoi gesti. Certo il bambino, a un certo punto, a una certa fase della sua crescita, crede di poter influenzare gli eventi come il mago o come lo stregone della tribù. Ma questo lui lo ha sperimentato prima di concepire questa specie di visione magica del suo rapporto con il mondo. Il bambino in culla strilla, ed ecco che compare un buon demone che lo lava se è sporco e lui strillava perché si sentiva sporco. Compare un buon demone che gli porta il latte e lui strillava perché aveva fame. I suoi strilli hanno prodotto eventi prima che lui concepisse il mondo come un luogo dove lui con la sua voce può produrre eventi. Questa capacità si prolunga nel gioco quando la funzione simbolica permette al bambino di mutare a piacere il significato dei significanti: vuol andare a cavallo e non ha un cavallo, ma non ha bisogno di fare operazioni magiche ha la scopa e la scopa è un cavallo, un treno, un’astronave. Può essere il robot di Goldrake. Può essere qualsiasi cosa lui voglia non più per magia, ma grazie alla funzione simbolica del gioco e del linguaggio che si formano insieme: gioco e linguaggio gli permettono di conoscere la realtà manipolandola, dominandola, anche evocando oggetti assenti per mezzo della memoria e di agire anche su di loro. Queste operazioni non mi sembrano costituire una fase magica nel senso caro a chi la considera contrapposta alla fase logica che dovrebbe seguire. Sono d’accordo con chi considera, invece, magia e conoscenza, due componenti in interazione, per esempio: il bambino che impara a parlare compie anche usi magici del linguaggio. Usa il linguaggio anche in modi che l’adulto crede di non più usare. Li usa per dare ordini al tavolo o per rimproverarlo se ha battuto la testa contro di esso, lo usa anche su questo piano magico, ma non inventa mica una lingua magica o immaginaria per compiere queste operazioni. Mentre le compie si costruisce il suo sistema linguistico secondo la grammatica e la sintassi della lingua materna in cui cresce. Mentre ordina al tavolo di fare quello che lui dice impara a usare l’imperativo e impara a usare prestissimo l’indicativo. L’imperativo quando serve l’imperativo, l’indicativo quando serve l’indicativo, il presente, il passato ecc. Come si costruisce il bambino il sistema linguistico di cui noi lo scopriamo già abbastanza padrone quando arriva, per esempio, in prima elementare se non in tutte queste fasi o magiche o ludiche della sua esperienza precedente? Circa le cose, il bambino può inventare o accettare spiegazioni magiche. Perché per il bambino sorge il sole? Perché c’è là un signore che lo spinge fuori, rispondono i bambini nella famosa inchiesta di Piaget sulla intelligenza dei bambini. Perché viene la notte? Perché c’è un signore che spegne tutte le luci. Ma intanto mentre dà e accetta spiegazioni magiche anche sugli oggetti che gli stanno più vicini, impara però a manipolarli. Si impadronisce di tecniche precise. Impara a usare attrezzi, strumenti, mobili, interruttori, macchine, apparecchi elettronici. Quindi creatività ludica e creatività conoscitiva procedono di pari passo influenzandosi e rafforzandosi a vicenda nell’unità della personalità infantile. Nel gioco si impegnano elementi di abilità conoscitiva, in questa si impegnano elementi di gioco. Nell’adulto questa attività sembra rompersi, ma intanto il gioco, cioè l’attività ludica negli uomini, si può prolungare nella vita intera. Non parlo solo del vecchietto che gioca a tressette con gli amici o degli uomini che giocano a tennis o a poker. Parlo soprattutto di quei grandi giochi per interposta persona che costituiscono lo spettacolo teatrale, cinematografico, sportivo, televisivo. Lo spettacolo è una finzione come una finzione è ogni altro gioco. Gli spettatori si identificano nei giocatori attori e vivono in loro pulsioni ed emozioni che, vissute direttamente, potrebbero rischiare di essere distruttive. L’adulto non crede più nelle favole. Non fa più i giochi che faceva da piccolo però guarda la televisione e gioca a essere Casanova o altri. Si identifica nel bandito braccato o nell’investigatore che gli dà la caccia, nell’indiano, nel cow-boy, in Gesù o nel diavolo ogni volta che, assistendo a uno spettacolo, si identifica in un personaggio o in una situazione. Qui si inserisce una differenza che mi sembra a svantaggio dell’adulto, tra il giocatore bambino e quello adulto: il bambino guarda Goldrake (del quale non credo che si debba avere tanta paura) ma gioca a fare lui Goldrake. Cioè dopo aver giocato per interposta persona attraverso le immagini del televisore, gioca in modo diretto sia con il linguaggio televisivo, sia con ogni altro linguaggio che gli accade di usare. Questo all’adulto succede molto meno. Ma il bambino quando gioca direttamente usa i linguaggi di cui non è stato soltanto fruitore passivo, non è stato soltanto un consumatore. Li usa per esprimere i propri conflitti, le proprie aspirazioni, il modo di giudicare il mondo. Li usa, dicono i tecnici, sperimentando nuove e personali combinazioni di parole, di oggetti, di idee, di comportamento.

Piccola parentesi su Goldrake: io non sono d’accordo con quelli che ci vedono in Goldrake o in tutti gli altri il nemico numero uno dei bambini di oggi: sono le favole di oggi raccontate con il linguaggio di oggi. Il pericolo nasce quando la televisione occupa troppo tempo nella giornata del bambino. Quando occupa tre, quattro, cinque ore e più. Ma questo non è colpa ne’ di Goldrake ne’ della televisione. Il bambino preferirebbe essere giocatore che spettatore se le abitazioni fossero più giocabili, se i quartieri fossero più giocabili, le scuole, le città fossero più giocabili. La verità è che non è mai la loro vivibilità, agibilità e giocabilità che governa la costruzione di questi spazi, la strutturazione, gli arredi. Mica compriamo il divano per farci saltare sopra il bambino! Lo compriamo perché è bello o per farci bella figura. Ed ecco che il divano diventa un suo nemico e sul divano però lui si può sedere a guardare la televisione. L’adulto che gioca con i bambini, che li aiuta a fare anziché guardare, genitore o educatore, che li aiuta a usare tutti i linguaggi anziché subirli, lavora per se stesso almeno quanto per il bambino. Si può dire che è generoso con i bambini, si può dire che tratta bene i bambini, ma tratta bene anche se stesso perché permette anche a se stesso di essere giocatore invece che spettatore.

Ma su questo terreno mi pare che non ci siamo. Nell’inchiesta che ho citato prima è stato chiesto ai bambini se i propri genitori passassero abbastanza tempo con loro. Solo il 27% dei bambini ha risposto affermativamente. Queste sono lezioni che i bambini non ce le danno salendo su una cattedra, ma attraverso il loro comportamento. Ora a me pare, e in un certo senso è stato detto, che oltre al gioco spettacolo in cui abbiamo visto che anche l’adulto partecipa, ci sono poi persone a cui è permesso, socialmente, di continuare a giocare per tutta la vita. Sono poeti, artisti, scienziati, inventori. Persone che possono continuare a cercare più in là di quello che già si vede, ed analizzare e sperimentare nuove possibili combinazioni di parole, di idee, di concetti, di oggetti, di unità di comportamenti. Queste persone per tutta la loro vita compiono un lavoro che per loro è anche un grande gioco. Che comporta la mobilitazione, dentro di loro, non solo della creatività scientifica, ma anche della creatività ludica. Ci sono oggi molti che studiano anche le omologie tra il processo di creatività scientifica e quello di creatività artistica. Facciamo un altro passo e arriviamo a vedere dove, nella vita di queste persone, arriva fortunatamente per loro il gioco. In un certo senso anch’io sono un privilegiato da questo punto di vista. Sono anni che vivo con le mie favole. Mi è socialmente permesso di giocare. Nessuno pensa che io sia uno scervellato a occuparmi di favole. Mi pagano perfino! Mi sembra che dovrei essere io a pagare per fare la cosa che mi piace di più. Da ciò emerge che anche queste persone che possono giocare, entrano in un sistema in cui il loro gioco è usato per fini che loro non controllano. Tu fai un bel libro ma poi il bel libro diventa una merce ed è controllato da leggi e funzioni sociali in cui non c’entri più e sei esattamente come quello che ha lavorato a costruire l’automobile o una mattonella e poi il resto non lo controlla più. Mi pare che la divisione del lavoro ha creato, tra le altre, anche questa divisione tra persone che possono giocare per tutta la vita e altre che possono solo produrre e consumare e non impegnare tutta la loro capacità e possibilità.

Ma forse anche su questo punto i bambini con il loro comportamento ci possono dire qualcosa di prezioso. I bambini giocano e lavorano. Conoscono la differenza tra il gioco che è fine a se stesso e quell’altro gioco che ha per fine la costruzione di oggetti. Ma qui non voglio alludere al lavoro nero perché questa non è la sede, anche se sono cose che tutti conosciamo: dai ragazzi che lavorano nelle botteghe artigiane o nei campi, quando dovrebbero essere a scuola o a giocare al pallone, ai pastori suicidi per la solitudine e per la mancanza di gioie. Sono realtà dolorose, presenti in tutte le regioni italiane e in tutte le grandi città italiane e sarebbe quasi criminoso chiudere gli occhi di fronte a questa realtà. Voglio parlare dei bambini a cui piace il lavoro quando è liberamente scelto. Quando sono loro, che per realizzare il loro progetto devono lavorare, impegnarsi e faticare, allora sono capaci di studiare, lavorare, faticare. Insomma quando non debbono lavorare e faticare per un programma concepito da altri, per qualcosa che discende dall’alto: dal ministero o da una cattedra o da una circolare o da un regolamento. Ma quando io li vedo lavorare nei centri estivi per attrezzare il terreno con capanne, altalene, percorsi; quando li vedo impegnarsi anche a scuola in una ricerca che è nata dalla loro curiosità, che hanno impiantato anche loro, del cui progetto anche loro sono autori insieme all’insegnante che si è messo con loro per essere l’animatore, allora io li vedo impegnare in questo lavoro lo stesso entusiasmo che impegnano nel gioco e li vedo ricavare da questa lavoro lo stesso piacere che ricavano dal gioco.

Mi pare che in queste attività si fondano bene il principio di piacere e il principio di realtà. Non è obbligatorio che la realtà sia spiacevole. E’ possibile anche cambiarla. Direi che provano qualcosa di analogo anche certi piccoli imprenditori quando incominciano a costruire la loro piccola azienda. Io ne ho conosciuti alcuni e ho visto che giocavano. Avevano momenti in cui entravano in azione tutte le loro energie, tutte le loro capacità e anche la loro capacità di giocare. Poi, si capisce, arriva il momento in cui la legge e la morale del profitto corrompe dal di dentro la natura di questo piacere e quest’uomo non fa più parte di quelli che sono autorizzati a giocare per tutta la vita. Io ho colto anche nei bambini il tipo di piacere a cui alludevo adesso. Tutto ciò per spiegare che quando si presenta nei bambini il distacco, la disaffezione dal lavoro scolastico, è la stessa che si può presentare nel lavoratore che fa un lavoro esecutivo, comandato, parcellizzato di cui non conosce lo scopo finale. Sia il bambino a scuola, sia l’operaio in fabbrica, lavorano per un progetto alla cui costruzione non hanno partecipato. Non c’è gioia in quel lavoro e non ci può essere. Non esiste la gioia del lavoro in sé. Esiste la gioia del progetto e del lavorare per realizzare il progetto. Questo può accadere a scuola. Questo non accade nel nostro mondo. Ma questo significa che il nostro mondo non è fatto molto bene. In chi progetta, qualsiasi cosa progetti, si fondono l’intervento dell’intelligenza, della volontà, della memoria e dell’immaginazione. E’ un lavoro che contiene e sviluppa molti elementi del gioco creativo. E questa mi sembra una lezione che il mondo adulto dovrebbe imparare dal mondo bambino. Il bambino è una personalità completa e aperta in tutte le direzioni prima che la sua socializzazione e l’educazione, a cui lo sottoponiamo, lo adattino alla società in cui cresce, ai suoi fini, puntando solo sulle qualità che servono a questo adattamento e chiamando disadattato il bambino che non s’impegna in quella sola linea e che non accetta di essere fatto per un mondo che di lui vuole solo una parte, non tutto quello che può essere. E questa è la stessa infelicità che prova la grande maggioranza degli adulti che nella vita deve impegnare solo una parte di ciò che potrebbe esprimere la loro personalità perché l’altra, la creatività, non serve ai fini della produzione. Questa contraddizione è un guaio nel bambino e nell’adulto. Per il bambino noi diciamo: facciamo una scuola in cui possa entrare il bambino intero e restare intero. Cioè, non solo con la sua capacità di ascoltare e di ripetere. Non solo con la sua capacità di imparare a leggere e scrivere e a far di conto, ma di fare tutte le cose che può fare che sono molte di più di quelle elencate nei programmi scolastici. Non si chiede che i bambini facciano meno cose a scuola. Possono fare dieci volte di più di quello che fanno se anche loro entrano in questo progetto. Se loro sentono che questa scuola è fatta per farli camminare in tutte le direzioni in cui sono capaci di camminare e non soltanto in una o due.

Ora vorrei citarvi, per farvi vedere che cosa pensano i bambini di noi, un’altra risposta di quella inchiesta di cui parlavo prima. Ai bambini è stato chiesto: " Secondo te il cattivo è sempre punito con il castigo che merita? ". Anche qui non facciamo compilazioni semantiche su che cosa è il cattivo, le risposte sono ugualmente interessanti anche se la domanda è discutibile. Nel 1948, 51 bambini su 100 avevano risposto che il cattivo è sempre punito. Il 51% era già una percentuale abbastanza bassa, ma insomma era la maggioranza assoluta. Nel ’79, il 35% dei bambini hanno dato la stessa risposta e la grande maggioranza (65%) hanno risposto di no. Il che vuol dire che nei bambini la fiducia nella giustizia viene a mancare. Mi pare che anche noi abbiamo molti motivi per non avere fiducia nel nostro sistema, nella nostra giustizia ecc., ma noi siamo adulti. Ma vuol dire anche che i bambini non vivono in un mondo separato se anche tra di loro è scesa la sfiducia. Vuol dire che se anche la tendenza si invertisse, per rovesciare questa tendenza occorrerà vedere dove bisognerà lavorare per ricostruire nei bambini la fiducia, se la giustizia, cioè l’idea di vivere in un mondo giusto, non spinge più le sue radici in questo mondo delicato in cui si forma il futuro? Mi pare che sia importante questa risposta come sono importanti sempre le riflessioni che nascono dalla osservazione diretta dei bambini, perché nei bambini si depositano le modificazioni culturali, appare il nuovo nell’umano, nella memoria sociale che non è la stessa della memoria genetica. La necessità di studiarli dal vero per vedere come si deposita in loro il nuovo che vivono e il nuovo che vive intorno a loro e capire meglio dai loro comportamenti le ragioni dei nostri e da loro imparare anche qualche lezione di fiducia. Mi succede a volte nei tram a Roma. Salgo vedo tutta la gente cipigliosa, ingrugnata, che pensa alle sue preoccupazioni, alle malattie, al terrorismo, a tutti i motivi che abbiamo per essere pessimisti e preoccupati. A un tratto sale un bambino di due - tre anni con la nonna e lo sentiamo chiacchierare ad alta voce, esclama, addita fuori dal finestrino qualcosa che gli piace, anche la più banale (un’automobile) e la gente comincia a voltarsi, a guardarsi, comincia un po’ a sorridere. Non dico che abbiano dimenticato le loro preoccupazioni però si è rivelata nella voce di quel bambino qualche cosa che forse potremmo chiamare l’ottimismo della specie. Credo che apparteniamo a una specie che non è ai suoi ultimi colpi. Pensate all’imperatore romano che consegna la sua corona al primo re barbaro: per quelli lì era la fine del mondo e invece finiva solo l’impero romano d’occidente, poi il mondo è continuato. Pensate a Luigi Capeto quando è salito al patibolo: è la fine del mondo! Ammazzano il re! E invece era solo la fine del feudalesimo, poi il mondo è andato avanti. Ora è vero che noi oggi siamo in presenza di armi che possono portare alla fine, forse non del mondo, ma dell’umanità, della società civile in cui viviamo. Però quando si parla di queste cose con i bambini, a me sembra che subito, la domanda che li appassiona di più viene da loro: allora cosa dobbiamo fare? Cioè non nasce in loro, da tutte queste ragioni di pessimismo, una disperazione che sarebbe la base di qualcosa come un suicidio di massa che nessuno propone all’umanità, nasce da loro l’esigenza, la richiesta di qualcosa da fare che fa appello a quello che Gramsci ha chiamato così bene "l’ottimismo della volontà". Abbiamo ragione di essere pessimisti, ma sono i bambini, mi pare, che ci chiedono di usare il nostro ottimismo della volontà.