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giovedì 1 settembre 2022

Il Mestiere dell'Antropologo: Umberto Eco, Industria e repressione sessuale in una società padana



La presente inchiesta elegge come campo di indagine l’agglomerato di Milano alla propaggine nord della penisola italiana, un protettorato vaticano del Gruppo delle Mediterranee. Milano si trova circa a 45 gradi di latitudine nord dall’Arcipelago della Melanesia e a circa 35 gradi di latitudine sud dall’Arcipelago di Nansen nel Mar Glaciale Artico. Si trova quindi in una posizione pressoché mediana rispetto alle terre civili e se pure fosse più facilmente raggiungibile dalle popolazioni eschimesi tuttavia è rimasta al di fuori dei vari itinerari etnografici.


Debbo il consiglio di una indagine su Milano al Professor Korao Paliau dell’Anthropological Institute delle Isole dell’Ammiragliato e ho potuto condurre la mia inchiesta grazie al generoso aiuto della Aborigen Foundation of Tasmania che mi ha fornito un grant di ventiquattromila denti di cane per affrontare le spese di viaggio ed equipaggiamento.


Non avrei peraltro potuto stendere queste note con la dovuta tranquillità, riesaminando il materiale raccolto al ritorno dal mio viaggio, se il Signore e la Signora Pokanau dell’Isola di Manus non mi avessero messo a disposizione una palafitta isolata dal consueto clangore dei pescatori di trepang e dei mercanti di copra che purtroppo hanno reso infrequentabili certe zone del nostro dolce arcipelago. Né avrei peraltro potuto correggere le bozze e riunire le note bibliografiche senza l’affettuosa assistenza di mia moglie Aloa che spesso ha saputo interrompere la confezione di collane di fiori del pua per correre all’arrivo del battello postale e trasportarmi alla palafitta [63] le enormi casse di documenti che via via richiedevo all’Anthropological Documentation Center di Samoa e che per me sarebbero state di troppo peso.

Per anni chi si è avvicinato agli usi e ai costumi dei popoli occidentali lo ha fatto muovendo da uno schema teorico a priori che ha bloccato ogni possibilità di comprensione. Il condannare gli occidentali come popoli primitivi, solo perché son dediti al culto della macchina, ancora lontani da un contatto vivo con la natura, ecco un esempio dell’armamentario di false opinioni con cui i nostri antenati hanno giudicato gli uomini incolori e gli europei in particolare.


Una malintesa impostazione storicistica induceva a credere che in tutte le civiltà si attuino dei cicli culturali analoghi, per cui esaminando a esempio il comportamento di una comunità anglosassone si riteneva che essa si trovasse semplicemente a una fase antecedente alla nostra e che un suo successivo sviluppo avrebbe portato un abitante di Glasgow a comportarsi come un melanesiano.


Si deve quindi all’opera illuminata della dottoressa Poa Kilipak se si è andato affermando il concetto di “modello culturale” con le stupefacenti conclusioni che comportava: un abitante di Parigi vive secondo un complesso di norme e di abitudini che si integrano in un tutto organico e formano una determinata cultura, valida come la nostra seppure di modi diversi.


Di qui si aprì la via per una retta indagine antropologica sull’uomo incolore e per una comprensione della civiltà occidentale (poiché – e si potrà anche accusarmi di cinico relativismo – di civiltà si tratta, anche se non segue i modi della nostra civiltà. E non è detto, me lo si permetta, che cogliere noci di cocco salendo a piedi nudi su di una palma costituisca un comportamento superiore a quello del primitivo che viaggia in jet mangiando patatine da un sacchetto di plastica).


Ma anche il metodo della nuova corrente antropologica poteva dar adito a gravi equivoci; come a esempio quando il ricercatore, proprio per l’aver riconosciuto dignità di cultura al “modello” studiato, si rifaceva ai documenti storici direttamente prodotti dagli indigeni soggetti a descrizione, desumendo da quelli le caratteristiche del gruppo stesso [64].

 […]


2. La “Pensée Sauvage” (Saggio di ricerca sul campo)

tramLa giornata dell’indigeno milanese si svolge secondo i ritmi solari elementari. Di buonora esso si sveglia per recarsi alle incombenze tipiche di questa popolazione, raccolta di acciaio nelle piantagioni, coltivazione di profilati metallici, concia di materie plastiche, commercio di concimi chimici con l’interno, semina di transistori, pascolo di lambrette, allevamento di alfaromeo e così via.


L’indigeno tuttavia non ama il suo lavoro e fa il possibile per evitare il momento in cui lo inizierà; quello che è curioso è che i capi del villaggio [67] paiono assecondarlo, eliminando ad esempio le vie consuete di trasporto, divellendo le rotaie dei primitivi tramways, confondendo la circolazione con larghe strisce gialle dipinte lungo le mulattiere (con chiaro significato di tabù) e infine scavando profonde buche nei punti più inopinati, dove molti’indigeni precipitano e vengono probabilmente sacrificati alle divinità locali.


È difficile spiegare psicologicamente l’attitudine dei capi del villaggio, ma questa distruzione rituale delle comunicazioni è legata senza dubbio a riti di risurrezione (si pensa ovviamente che costringendo schiere di abitanti nelle viscere della terra, dalla loro immolazione quale seme, nasceranno altri individui più forti e robusti).


Ma la popolazione ha immediatamente reagito con una chiara sindrome nevrotica a questo atteggiamento dei capi, elaborando un culto nato apparentemente per generazione spontanea, vero e proprio esempio di esaltazione collettiva: il “culto della metropolitana da carico” (tube cult).


Ad epoche determinate si propaga cioè per la città “Il Rumore”, e gli indigeni vengono posseduti dalla fiducia quasi mistica che un giorno enormi veicoli si muoveranno nelle viscere della terra trasportando ogni individuo a velocità miracolosa in qualsiasi punto del villaggio. Il Dr. Muapach, un serio e preparato membro della mia spedizione, si è chiesto anzi a un certo punto se “Il Rumore” traesse origine da qualche fatto reale, ed è sceso in queste caverne: ma non vi ha trovato nulla che potesse sia pure lontanamente giustificare la diceria.


corriereChe i capi della città tengano a mantenere la popolazione in uno stato di incertezza è provato da un rituale mattutino, la lettura di una sorta di messaggio ieratico che i capi fanno pervenire ai loro sudditi sul far dell’alba, il “Corriere della Sera”: la natura ieratica del messaggio è sottolineata dal fatto che le nozioni che comunica sono puramente astratte e prive di alcun riferimento con la realtà; in altri casi il riferimento, come abbiamo potuto verificare, è apparente, così che all’indigeno viene prospettata una sorta di controrealtà o realtà ideale nella quale egli presume di muoversi come in una foresta [68] dalle viventi colonne, vale a dire in un mondo eminentemente simbolico e araldico.


Tenuto costantemente in questo stato di smarrimento, l’indigeno vive in una persistente tensione che i capi gli permettono di scaricare solo nelle festività collettive, quando la popolazione si riversa a frotte in costruzioni immense di forma elissoidale dalle quali proviene senza interruzione un clamore spaventoso.


Inutilmente abbiamo tentato di entrare in una di queste costruzioni; con una diplomazia primitiva ma smaliziatissima gli indigeni ce lo hanno sempre impedito, pretendendo che noi si esibisse per l’accesso dei messaggi simbolici che apparentemente risultavano in vendita, ma per i quali ci è stato chiesto un tale quantitativo di denti di cane che noi non avremmo potuto pagare senza dovere in seguito abbandonare la ricerca.


Costretti dunque a seguire la manifestazione dall’esterno, dapprima si era formulata l’ipotesi, avallata dai rumori fragorosi e isterici, che si trattasse di riti orgiastici; ma in seguito ci si è fatta chiara l’orribile verità. In questi recinti gli indigeni si dedicano, con il consenso dei capi, a riti di cannibalismo, divorando esseri umani acquistati presso altre tribù. La notizia di questi acquisti viene anzi data nei consueti messaggi ieratici mattutini, dove si può assistere giorno per giorno a una vera e propria cronaca delle acquisizioni gastronomiche; dalla qual cronaca emerge che particolarmente pregiati sono gli stranieri di colore, quelli di alcuni ceppi nordici e in gran quantità gli ispano-americani.


A quanto ci è stato dato di ricostruire, le vittime vengono divorate in enormi portate collettive composte da più individui, secondo complicate ricette che vengono pubblicamente esposte per le strade, nelle quali si presenta una sorta di posologia non ignara di reminiscenze alchemiche, del tipo di “3 a 2”, “4 a 0”, “2 a 1.” Che il cannibalismo non rappresenti tuttavia una semplice prescrizione religiosa ma un vizio diffuso, radicato in tutta la popolazione, è dimostrato dalle somme enormi che gli indigeni paiono spendere per l’acquisto dei cibi umani [69].


Pare tuttavia che presso i gruppi più abbienti questi banchetti domenicali suscitino un vero e proprio terrore, in modo che, nel momento in cui la maggior parte della popolazione si avvia ai refettori collettivi, i dissidenti si danno a una fuga disperata lungo tutte le vie di uscita dal villaggio, urtandosi disordinatamente, calpestandosi con i veicoli, perdendo la vita in sanguinosi tafferugli. Sembra che costoro, presi da una sorta di menadismo, intravedano come unica salvezza la via del mare, dato che la parola che ricorre con maggior insistenza in questi esodi sanguinosi è “la barca”.


Il basso livello intellettuale degli indigeni è dimostrato dal fatto che essi evidentemente ignorano che Milano non si trova sul mare; e così scarsa è la loro capacità di memorizzazione che ad ogni domenica mattina si danno alla consueta fuga precipitosa per rientrare nella città in mandrie spaurite la sera stessa, cercando rifugio nelle proprie capanne, pronti a dimenticare la loro cieca avventura il giorno dopo.


balloD’altra parte sin dai suoi primi anni il giovane nativo viene educato in modo che lo smarrimento e l’incertezza siano posti a fondamento di ogni suo gesto. Tipici a questo proposito sono i “riti di passaggio” che hanno luogo in locali sotterranei, dove i giovani vengono iniziati a una vita sessuale dominata da un tabù inibitivo. Caratteristica è la danza che essi praticano, in cui un giovane e una giovane si pongono l’uno di fronte all’altra dimenando le anche e muovendo avanti e indietro le braccia piegate ad angolo retto, sempre in modo che i corpi non si tocchino.


Già da queste danze traspare il più totale disinteresse da parte di ambo i partecipanti, completamente ignari l’uno dell’altro, tanto che quando uno dei danzatori si piega assumendo la posizione consueta dell’atto sessuale – mimandone le fasi ritmiche – l’altro si ritrae come inorridito e cerca di sfuggire curvandosi talvolta sino a terra; ma nel momento in cui l’altro, ormai pervenuto a raggiungerlo, potrebbe usare di lui, se ne allontana di colpo ristabilendo le distanze.


L’apparente asessualità della danza (un vero è proprio rito iniziatico improntato a ideali di astinenza totale) è tuttavia complicato da alcuni [70] particolari osceni. Infatti il danzatore maschio, anziché ostentare normalmente il membro nudo e farlo roteare tra gli applausi della folla (come farebbe qualsiasi nostro fanciullo partecipando a una festa sull’isola di Manus o altrove), lo tiene accuratamente coperto (lascio immaginare al lettore con quale impressione complessiva di ribrezzo per l’osservatore anche più spregiudicato). Del pari la danzatrice non lascia mai scorgere i seni, e sottraendoli alla vista dei presenti contribuisce ovviamente a creare desideri insoddisfatti che non possono non provocare frustrazioni profonde.


Il principio di frustrazione come costitutivo del rapporto pedagogico appare del resto funzionare anche nelle assemblee degli anziani, ugualmente compiute in sottordine, dove apparentemente si celebra un ritorno ai valori morali-naturali elementari: infatti una danzatrice appare lubricamente coperta di indumenti e gradatamente si spoglia mostrando le proprie membra, in modo che l’osservatore è portato a pensare che si stia qui preparando una risoluzione catartica dell’emozione, che dovrebbe sopravvenire quando la danzatrice si mostrasse pudicamente nuda. In realtà – per ordine espresso dei capi, come ci è stato dato di appurare – la danzatrice all’ultimo conserva alcuni indumenti fondamentali, oppure fìnge di toglierseli per scomparire, nell’istante in cui accenna a farlo, nel buio che improvvisamente invade la caverna. In tal modo gli indigeni escono da questi luoghi ancora in preda alle loro turbe.


Ma la domanda che il ricercatore si pone è la seguente: sono lo smarrimento e la frustrazione veramente effetto di una decisione pedagogica consapevole, oppure concorre a questo stato di cose, influenzando le stesse decisioni dei capi e dei sacerdoti, qualche causa più profonda connessa alla stessa natura dell’habitat milanese? Terribile domanda, perché in questo caso si porrebbe il dito sulle sorgenti profonde della mentalità magica che possiede i nativi, e si discenderebbe alle madri oscure da cui si origina la notte dell’anima di quest’orda primitiva [71].

giovedì 30 luglio 2020

Colonialismo non occidentale in Asia

Partendo da una recente disputa su di un sito UNESCO, parliamo delle esperienze coloniali di un paese non occidentale: il Giappone.


sabato 11 luglio 2020

Perché non mangiamo insetti?

Perché non mangiamo insetti? Perché gli insetti non sono mai entrati a fare parte dela dieta europea? Ne parliamo oggi con Renato Ferrari, antropologo del cibo.

giovedì 2 luglio 2020

Buono da morire. Antenati cinesi a tavola

Questa volta Fabio e Marco Lazzarotti esplorano le complesse relazioni fra cibo e religione nel contesto tradizionale Taiwanese, nello specifico fra cibo e Antenati: ospiti d'onore al desco familiare.

martedì 23 giugno 2020

Black Lives Matter in Asia

Come le proteste di Black Lives Matter sono arrivate e si sono adattate al contesto asiatico? Proponiamo qui gli esempi di Taiwan e Sud Corea.



giovedì 4 giugno 2020

Elezioni, idranti e medaglie: cose poco note sulla Francia durante la pandemia

Di elezioni e di scioperi, di proteste e medaglie, tutto quello che avreste voluto sapere sui nostri cugini d'oltralpe e che non avete sentito sui media italiani.




giovedì 12 marzo 2020

"Buono da pensare, buono da mangiare" ovvero perché Zaia è un ignorante

Un'altra conversazione con Fabio che parte da alcune considerazioni di cronaca contemporanea e arriva a discutere di cibo e antropologia.



giovedì 23 maggio 2013

Cannibalism


But above all we must to realize that certain of our usages, if investigated by an observer from a different society, would seem to him similar in kind to the cannibalism which we consider uncivilized.
I am thinking here of our judicial and penitentiary customs. If we were to look at them from outside it would be tempting to distinguish two opposing types of society: those which practice cannibalism who believe, that is to say, that the only way to neutralize people who are the repositories of certain redoubtable powers, and even to turn them to one s own advantage, is to absorb them into ones own body.
Second would come those which, like our own, adopt what might be called anthropoemia (from the Greek emein, to vomit). Faced with the same problem, they have chosen the opposite solution. They expel these formidable beings from the body publicly isolating them for a time, or for ever, denying them all contact with humanity, in establish ments devised for that express purpose. In most of the societies which we would call primitive this custom would inspire the profoundest horror: we should seem to them barbarian in the same degree as we impute to them on the ground of their no-more-than-symmetrical customs.  


Claude Lévi-Strauss: Tristi tropici, pp. 386

sabato 5 novembre 2011

媽祖 Mazu pilgrimage

This is a Movie that I made during the annual pilgrimage of one of the most important deities in Taiwan: 

Mazu 媽祖.






The annual tour of this goddess is held during the third month of the lunar calendar of Mazu's birthday, which falls on the 23rd day of that month. During the Lantern Festival, which begins on the 15th day of the forst lunar month, Zhenlan Temple of Dajia decides upon the dates for that year's pilgrimage by casting wooden divination blocks, thereby acquiring Mazu's "approval".

sabato 3 settembre 2011

Antropologi, antropologhi, antro............


A volte uno fa incontri nella vita. . . .  incontri l'autore di uno dei testi (non solo di uno, di molti a dire il vero) che ti ha arricchito di piu` nel tuo percorso scolastico e umano, e tutto quello che riesci a dirgli e` se puo` farsi una foto con te. E ti restano queste foto e le espressioni ebeti in esse immortalate.
Vabbuo` va, meglio di niente........




mercoledì 31 agosto 2011

Attaccarsi alla poltrona

Finalmente ho trovato il modo per impedire che chi raggiunge una carica si aggrappi alla poltrona




Basterebbe cambiare le poltrone con queste praticissime sedie usate dai medium Taiwanesi


RISULTATO GARANTITO !!!!!!

lunedì 29 novembre 2010

Antropologia

Qua sotto posto un video. E` un video di un rituale della religione popolare taiwanese, si chiama Shao Wang Chuan, bruciare la barca del Re. Il quale, sia detto per inciso, e` una delle piu` popolari divinita` a Taiwan. Bruciando la barca, fatta di carta e legno e finemente decorata, la si dona a questo Re che puo` in questo modo riprendere il mare portando con se tutte le malattie e le brutte cose.
Una parte della mia ricerca si occupa di studiare questi rituali, e nel farlo mi sono re-innamorato dell'antropologia, questa disciplina sempre a meta`, fra filosofia e storia, fra sociologia e scienza. L'antropologia che, usando parole di Clifford Geertz (uno dei massimi studiosi di antropologia del secolo scorso morto pochi anni fa), ci insegna che ... "Vedere noi stessi come ci vedono gli altri puo` essere rivelatore. Vedere che gli altri condividono con noi la medesima natura e` il minimo della decenza. Ma e` dalla conquista assai piu` difficile di vedere noi stessi tra gli altri, come un esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che deriva quella apertura mentale senza la quale l'oggettivita` e` autoincensamento e la tolleranza mistificazione. Se l'antropologia interpretativa ha un qualche ruolo nel mondo e` quello di continuare a re-insegnare questa fuggevole verita`".
E detto questo, buona visione a tutti


mercoledì 8 ottobre 2008

Il Mondo Drogato della Vita a Credito, di Zygmunt Bauman

Il mondo drogato
della vita a credito
di ZYGMUNT BAUMAN

Un quotidiano britannico ha pubblicato la storia di un cinquantunenne che ha accumulato un debito di 58mila sterline su 14 carte di credito e finanziamenti vari. Con l'impennata dei costi del carburante, dell'elettricità e del gas non riusciva più a pagare gli interessi.

Deplorando, col senno di poi, la sconsideratezza che lo ha gettato in questa situazione spiacevole se la prendeva con chi gli aveva prestato il denaro: parte della colpa è anche loro, diceva, perché rendono terribilmente facile indebitarsi. In un altro articolo pubblicato lo stesso giorno, una coppia spiegava di aver dovuto drasticamente ridurre il bilancio familiare, ma esprimeva anche preoccupazione per la figlia, una ragazza giovane già pesantemente indebitata. Ogni volta che esaurisce il plafond della carta di credito subito le viene offerto in prestito altro denaro. A giudizio dei genitori le banche che incoraggiano i giovani a prendere prestiti per acquistare, e poi altri prestiti per pagare gli interessi, sono corresponsabili delle sventure della figlia.

C'era un vecchio aneddoto su due agenti di commercio che giravano l'Africa per conto dei rispettivi calzaturifici. Il primo inviò in ditta questo messaggio: inutile spedire scarpe , qui tutti vanno scalzi. Il secondo scrisse: richiedo spedizione immediata di due milioni di paia di scarpe, tutti qui vanno scalzi. La storiella mirava ad esaltare l'intuito imprenditoriale aggressivo, criticando la filosofia prevalente all'epoca secondo cui il commercio rispondeva ai bisogni esistenti e l'offerta seguiva l'andamento della domanda. Nel giro di qualche decennio la filosofia imprenditoriale si è completamente capovolta. Gli agenti di commercio che la pensano come il primo rappresentante sono rarissimi, se ancora esistono. La filosofia imprenditoriale vigente ribadisce che il commercio ha l'obiettivo di impedire che si soddisfino i bisogni, deve creare altri bisogni che esigano di essere soddisfatti e identifica il compito dell'offerta col creare domanda. Questa tesi si applica a qualsiasi prodotto, venga esso dalle fabbriche o dalle società finanziarie. La suddetta filosofia imprenditoriale si applica anche ai prestiti: l'offerta di un prestito deve creare e ingigantire il bisogno di indebitarsi.

L'introduzione delle carte di credito è stata un segno premonitore. Le carte di credito erano state lanciate sul mercato con uno slogan rivelatore e straordinariamente seducente: "Perché aspettare per avere quello che vuoi?". Desideri una cosa ma non hai guadagnato abbastanza per pagarla? Beh, ai vecchi tempi, ora fortunatamente andati, si doveva procrastinare l'appagamento dei propri desideri: stringere la cinghia, negarsi altri diletti, essere prudenti e parchi nelle spese e depositare il denaro così racimolato su un libretto di risparmio nella speranza di riuscire, con la cura e la pazienza necessarie, ad accumularne abbastanza per poter realizzare i propri sogni. Grazie a Dio e al buon cuore delle banche non è più così! Con la carta di credito si può invertire l'ordine: prendi subito, paghi dopo. La carta di credito rende liberi di appagare i desideri a propria discrezione: avere le cose nel momento in cui le vuoi, non quando te le sei guadagnate e te le puoi permettere.

Questa era la promessa, ma sotto c'era anche una nota in caratteri minuscoli, difficile da decifrare anche se facile da intuire in un momento di riflessione: quel perenne "dopo" ad un certo punto si trasformerà in "subito" e bisognerà ripagare il prestito. Il pagamento dei prestiti contratti per non aspettare e soddisfare subito i vecchi desideri, renderà difficilissimo soddisfarne di nuovi... Non pensare al "dopo", significò , come sempre, guai in vista. Si può smettere di pensare al futuro solo a proprio rischio e pericolo. Sicuramente il conto sarà salato. Più presto che tardi arriva la consapevolezza che allo sgradevole differimento dell'appagamento si è sostituito un breve differimento della vera terribile punizione per l'essere stati precipitosi. Ci si può togliere uno sfizio quando si vuole, ma anticipare il diletto non lo renderà più abbordabile... In ultima analisi, sarà differita solo la presa di coscienza della triste realtà.

Per quanto nociva e dolorosa, questa non è l'unica nota in caratteri minuscoli sotto la promessa del "prendi subito, paga dopo". Per evitare di limitare ad un solo prestatore il profitto derivante dalle carte di credito e dai prestiti facili, il debito contratto doveva essere (e così è stato) trasformato in un bene che procuri profitto permanente. Non riesci a ripagare il tuo debito? Non preoccuparti: a differenza degli avidi prestatori di denaro vecchio stile, ansiosi di veder ripagate le somme prestate entro termini ben precisi e non differibili, noi prestatori di denaro moderni e disponibili non ti chiediamo indietro i nostri soldi, bensì ci offriamo di prestartene altri per pagare il vecchio debito e avere un po' di disponibilità (cioè di debito) in più per toglierti nuovi sfizi. Siamo le banche che dicono "sì", le banche disponibili, le banche col sorriso, come diceva una delle pubblicità più geniali.

Quello che nessuno spot diceva apertamente, lasciando la verità ai cupi presagi del debitore, era che le banche prestatrici in realtà non volevano che i debitori pagassero i debiti. Se lo avessero fatto entro i termini non sarebbero stati più in debito, ma sono proprio i loro debiti (il relativo interesse mensile) che i moderni, disponibili (e geniali) prestatori di denaro hanno deciso, con successo, di riciclare come fonte prima del loro profitto costante, assicurato (e si spera garantito). I clienti che restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono l'incubo dei prestatori. Le persone che si rifiutano di spendere denaro che non abbiano già guadagnato e si astengono dal prenderlo in prestito, non sono di alcuna utilità ai prestatori - perché sono quelli che (spinti dalla prudenza o da un senso antiquato dell'onore) si affrettano a ripagare i propri debiti alle scadenze. Una delle maggiori società di carte di credito presenti in Gran Bretagna ha suscitato pubbliche proteste (che certo avranno vita breve) nel momento in cui ha scoperto il suo gioco rifiutando il rinnovo delle carte ai clienti che pagavano ogni mese il loro intero debito, senza quindi incorrere in sanzioni finanziarie.

L'odierna stretta creditizia non è risultato del fallimento delle banche. Al contrario, è il frutto del tutto prevedibile, anche se nel complesso inatteso, del loro straordinario successo: successo nel trasformare una enorme maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani, in una genìa di debitori. Perenni debitori, perché si è fatto sì che lo status di debitore si auto-perpetui e si continuino a offrire nuovi debiti come unico modo realistico per salvarsi da quelli già contratti. Entrare in questa condizione, ultimamente, è diventato facile quanto mai prima nella storia dell'uomo: uscirne non è mai stato così difficile. Tutti coloro che erano nelle condizioni di ricevere un prestito, e milioni di altri che non potevano e non dovevano essere allettati a chiederlo, sono già stati ammaliati e sedotti a indebitarsi. E proprio come la scomparsa di chi va a piedi nudi è un guaio per l'industria calzaturiera, così la scomparsa delle persone senza debiti è un disastro per l'industria dei prestiti. Quanto predetto da Rosa Luxemburg si è nuovamente avverato: comportandosi come un serpente che si mangia la coda il capitalismo è nuovamente arrivato pericolosamente vicino al suicidio involontario, riuscendo ad esaurire la scorta di nuove terre vergini da sfruttare...

Negli Usa il debito medio delle famiglie è cresciuto negli ultimi otto anni - anni di apparente prosperità senza precedenti- del 22 per cento. L'ammontare totale dei prestiti su carta di credito non pagati è cresciuto del 15%. E , cosa forse più minacciosa, il debito complessivo degli studenti universitari, la futura élite politica, economica e spirituale della nazione, è raddoppiato. L'insegnamento dell'arte di "vivere indebitati", per sempre, è ormai inserito nei programmi scolastici nazionali... Si è arrivati a una situazione molto simile in Gran Bretagna. Il resto dei Paesi europei segue a non grande distacco. Il pianeta bancario è a corto di terre vergini avendo già sconsideratamente dedicato allo sfruttamento vaste estensioni di terreno sterile.

La reazione finora, per quanto possa apparire imponente e addirittura rivoluzionaria per come emerge dai titoli dei media e dalle dichiarazioni dei politici, è stata la solita : il tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e di rendere i loro debitori nuovamente in grado di ricevere credito, così il business di prestare e prendere in prestito, dell'indebitarsi e mantenersi indebitato, potrebbe tornare alla "normalità". Il welfare state per i ricchi (che a differenza del suo omonimo per i poveri non è mai stato messo fuori servizio) è stato riportato in vetrina dopo essere stato temporaneamente relegato nel retrobottega per evitare invidiosi paragoni. Lo Stato ha nuovamente flesso in pubblico muscoli a lungo rimasti inattivi, stavolta al fine di proseguire il gioco che rende questo esercizio ingrato ma, abominevole a dirsi, inevitabile; un gioco che stranamente non sopporta che lo Stato fletta i muscoli, ma non può sopravvivere senza.

Quello che si dimentica allegramente (e stoltamente) in quest'occasione è che l'uomo soffre a seconda di come vive. Le radici del dolore oggi lamentato, al pari delle radici di ogni male sociale, sono profondamente insite nel nostro modo di vivere: dipendono dalla nostra abitudine accuratamente coltivata e ormai profondamente radicata di ricorrere al credito al consumo ogni volta che si affronta un problema o si deve superare una difficoltà. Vivere a credito dà dipendenza come poche altre droghe, e decenni di abbondante disponibilità di una droga non possono che portare a uno shock e a un trauma quando la disponibilità cessa. Oggi ci viene proposta una via d'uscita apparentemente semplice dallo shock che affligge sia i tossicodipendenti che gli spacciatori: riprendere (con auspicabile regolarità) la fornitura di droga.

Andare alle radici del problema non significa risolverlo all'istante. È però l'unica soluzione che possa rivelarsi adeguata all'enormità del problema e a sopravvivere alle intense, seppur relativamente brevi , sofferenze delle crisi di astinenza.
(Traduzione di Emilia Benghi)
(8 ottobre 2008)

martedì 9 settembre 2008

Master Thesis - Tesi di Master - 碩士論文

Ciao a tutti, da oggi e` disponibile sul web la mia tei di master, scritta in Inglese e che ha per titolo "il culto degli Antenati nella Chiesa Cattolica Taiwanese" ---

Hello everybody, my Master's Thesis in available on my web page www.tesi2008.it.gg It is wrote in English and the title is: The Ancestors' Rites in the Taiwanese Catholic Church" ---

大家好,從今天你可以下載我的碩士論文:臺灣天主教的祖先敬拜禮儀 ---

venerdì 29 agosto 2008

Perché è morto il capitano Cook?

La figura del Capitano Cook è una di quelle più circondate da un alone da leggenda. Collocato in un'epoca posteriore a quella definita delle grandi scoperte (quella di colombo, Diaz, Magellano per intenderci), questo inglese tutto di un pezzo fu comunque uno dei più grandi esploratori che il nostro mondo conobbe. Fece tre viaggi nell'Oceano Pacifico durante i quali scoprì varie isole mappandone le coste. Il primo viaggio fu effettuato dal 1768 al 1771; in questo primo viaggio, effettuato per osservare il transito di Venere accanto al sole, portato dalla ricerca del mitico continente terra australis, arrivò fino in Nuova Zelanda e in Australia. Questo primo viaggio fu contraddistinto dalla morte di maggior parte del suo equipaggio a causa di epidemie di scorbuto e di malaria contratte nel viaggio. Il secondo viaggio, che aveva lo scopo specifico di scoprire il continente terra australis, arrivò nella terra del fuoco e da li scoprì poi la Nuova Georgia, Tonga e l'isola di Pasqua. Più importante è il terzo viaggio, soprattutto per la sua drammatica conclusione. Il Capitano Cook infatti, dopo che nel 1778 divenne il primo europeo a visitare le isole, che lui denominò Sandwich, vi morì il 14 febbraio 1779. Il 14 febbraio presso la baia di Kealakekua alcuni indigeni rubarono una delle scialuppe. Questo genere di furti era abbastanza normale e solitamente alcuni indigeni venivano presi in ostaggio per ottenere la restituzione del maltolto. Cook, in preda all'irrazionalità, ebbe un violento alterco con un folto gruppo di locali, nella disputa furono esplosi alcuni colpi d'arma da fuoco e Cook venne accoltellato a morte. Questo almeno è quanto raccontano le storiografie occidentali. Un altro punto di vista è quello presentato da Marshal Sahlins, un autorevole antropologo Statunitense. Nel suo libro “Isole di Storia” l'autore propone una interessante rivisitazione di questo evento storico. Cook arrivò per caso sulla spiaggia nella Hawaii proprio nel corso di una grande cerimonia chiamata Makahiki che celebrava l'annuale rinascita della natura, del Dio Lono, simbolizzato da una gigantesca pella di tapa e da una immagine di uccello portata in parata in senso orario attorno all'isola per un mese. Gli hawaiani dividevano l'anno lunare in due periodi. Uno era il tempo di Makahiki, quando la pace, i sacerdoti indigeni di Kuali'l e il dio della fertilità, Lono, regolavano la vita e il re era inattivo. Durante il resto dell'anno, dopo che Lono, voltata la sua immagine di uccello, se n'era di nuovo andato, veniva un tempo di guerra in cui i sacerdoti immigrati Nahulu e il dio della virilità , Ku, erano dominanti ed il re era attivo. Cook, che arrivò dalla giusta direzione e nel modo giusto, fu considerato dagli hawaiani, o almeno dai vari sacerdoti coinvolti, come fosse Lono in carne ed ossa, e fu consacrato come tale per mezzo dei più elaborati riti nel grande tempio dell'isola. Poi, per sue proprie ragioni, ma di nuovo in accordo accidantale con il calendario che governava il Makahiki, egli partì per dove era venuto. Poco dopo essere salpato, tuttavia, la rottura di un albero lo costrinse a ritornare sulla spiaggia per le riparazioni. Questo movimento al di fuori dello schema fu interpretato dagli hawaiani come un disordine cosmologico, un disordine che faceva presagire, se gli fosse stato permesso di progredire, un sovvertimento sociale e politico. Questo portò piuttosto rapidamente alla miserevole fine di Cook, che fu pugnalato e bastonato a morte in mezzo a centinaia di hawaiani inferociti dopo essere arrivato furioso a riva, sparando all'impazzata qua e la con la sua pistola. Consacrato come un dio poiché arrivato nel momento giusto e nel modo giusto, egli fu ucciso come un dio, ossia sacrificato per mantenere intatta e non rovesciata la struttura, perché ritornò alle Hawaii nel modo sbagliato e nel momento sbagliato. Una interessante rilettura in chiave culturale di un episodio storico. Un nuovo modo di leggere la storia dal punto di vista dei nativi e non da quello dei colonizzatori. Un buon metodo per saper leggere e rileggere fatti accaduti nel passato e che hanno da sempre stimolato la fantasia e la curiosità di tutti noi. Marco L..